Al fine di raggiungere i propri obiettivi IL BRUCO E LA FARFALLA®-ONLUS si avvale della collaborazione di professionisti e consulenti esterni. Quello che segue è una parte del programma formativo proposto. I seminari non indirizzati alla formazione degli associati sono organizzati direttamente dai formatori stessi.
Questi percorsi formativi sulla morte, il morire e l'accompagnamento, sono principalmente degli incontri con la vita, con un'esistenza che non nega la morte e la paura di quest'ultima e dove gli aspetti pratici, scevri da dogmi, si articolano con apporti di ampio respiro culturale.
I seminari proposti derivano dalla pratica di formazioni in campo sanitario, educativo, sociale e terapeutico, e dalla ricerca applicata a singoli e a gruppi con particolare riferimento all'educazione degli individui al rispetto della vita fino alla morte.
Scuole, ospedali, comunità, enti, associazioni e privati possono organizzare delle sessioni locali delle varie proposte formative offerte da IL BRUCO E LA FARFALLA®-ONLUS contattando telefonicamente la segreteria formativa al (+39) 335 91 79 11 oppure cliccando su questo link.
testo approvato nella seduta plenaria del 30 settembre 2005
Di recente l’opinione pubblica mondiale è stata profondamente scossa dalla storia di una donna vissuta per quindici anni in stato vegetativo e lasciata morire a seguito della decisione di un giudice che ha autorizzato la richiesta del marito (contro il parere dei genitori) a staccare il tubo dell’alimentazione dal quale dipendeva la vita della donna. Considerato il cospicuo numero di persone che, anche in Italia, si trovano a vivere nel cosiddetto stato vegetativo persistente (SVP); considerata altresì la controversia in atto sul considerare o no trattamento medico e/o accanimento terapeutico la nutrizione e idratazione con sondino o con enterogastrostomia percutanea (PEG), il CNB ritiene utile ribadire in proposito alcuni principi bioetici fondamentali.
Con l’espressione stato vegetativo persistente (un tempo denominato coma vigile) si indica un quadro clinico (derivante da compromissione neurologica grave) caratterizzato da un apparente stato di vigilanza senza coscienza, con occhi aperti, frequenti movimenti afinalistici di masticazione, attività motoria degli arti limitata a riflessi di retrazione agli stimoli nocicettivi senza movimenti finalistici. I pazienti in SVP talora sorridono senza apparente motivo; gli occhi e il capo possono ruotare verso suoni e oggetti in movimento, senza fissazione dello sguardo. La vocalizzazione, se presente, consiste in suoni incomprensibili; sono presenti spasticità, contratture, incontinenza urinaria e fecale. Le funzioni cardiocircolatorie e respiratorie sono conservate e il paziente non necessita di sostegni strumentali. E’ conservata anche la funzione gastro-intestinale, anche se il paziente è incapace di nutrirsi per bocca a causa di disfunzioni gravi a carico della masticazione e della deglutizione. Se è vero che alcuni malati terminali possono diventare malati in SVP, è pur vero che le persone in SVP non sono sempre malati terminali (potendo sopravvivere per anni se opportunamente assistite). Non è corretto nemmeno associare la condizione dello SVP al coma: lo stato comatoso è infatti privo di veglia, mentre le persone in SVP, pur senza offrire chiari segni esteriori di coscienza, alternano fasi di sonno e fasi di veglia. Il problema bioetico centrale è costituito dallo stato di dipendenza dagli altri: si tratta di persone che per sopravvivere necessitano delle stesse cose di cui necessita ogni essere umano (acqua, cibo, riscaldamento, pulizia e movimento), ma che non sono in grado di provvedervi autonomamente, avendo bisogno di essere aiutate, sostenute ed accudite in tutte le loro funzioni, anche le più elementari. Ciò che va rimarcato con forza è che le persone in SVP non necessitano di norma di tecnologie sofisticate, costose e di difficile accesso; ciò di cui hanno bisogno, per vivere, è la cura, intesa non solo nel senso di terapia, ma anche e soprattutto di care: esse hanno il diritto di essere accudite. In questo senso si può dire che le persone in SVP richiedono un’assistenza ad alto e a volte altissimo contenuto umano, ma a modesto contenuto tecnologico.
Non c’è dubbio che l’ingresso nello SVP sia un evento tragico e che ancor più tragica sia la permanenza (per una durata di tempo difficilmente prevedibile) in tale stato. Ma non c’è nemmeno il dubbio che la tragicità, per quanto estrema, di uno stato patologico, quale indubbiamente va ritenuto lo SVP, possa alterare minimamente la dignità delle persone affette e la pienezza dei loro diritti: non è quindi possibile giustificare in alcun modo non solo la negazione, ma nemmeno un affievolimento del diritto alla cura, di cui godono al pari di ogni altro essere umano. Non bisogna infatti dimenticare che non sono né la qualità della patologia né la probabilità della sua guarigione a giustificare la cura: questa trova la sua ragion sufficiente esclusivamente nel bisogno che il malato, come soggetto debole, ha di essere accudito ed eventualmente sottoposto a terapia medica. E’ peraltro intuizione comune, bioeticamente ben argomentabile, che quanto maggiore è la debolezza del paziente, tanto maggiore sia il dovere etico e giuridico di prendersi cura di lui, che grava sia sul sistema sanitario, sui suoi familiari e su ogni singolo individuo, che ne abbia la capacità e la possibilità. E’ opinione del CNB che qualora la famiglia fosse disponibile ad assistere a domicilio il paziente in SVP sia dovere delle istituzioni supportarne per quanto possibile gli oneri economici e assistenziali.
Per giustificare bioeticamente il fondamento e i limiti del diritto alla cura e all’accudimento nei confronti delle persone in SVP, va quindi ricordato che ciò che va loro garantito è il sostentamento ordinario di base: la nutrizione e l’idratazione, sia che siano fornite per vie naturali che per vie non naturali o artificiali. Nutrizione e idratazione vanno considerati atti dovuti eticamente (oltre che deontologicamente e giuridicamente) in quanto indispensabili per garantire le condizioni fisiologiche di base per vivere (garantendo la sopravvivenza, togliendo i sintomi di fame e sete, riducendo i rischi di infezioni dovute a deficit nutrizionale e ad immobilità). Anche quando l’alimentazione e l’idratazione devono essere forniti da altre persone ai pazienti in SVP per via artificiale, ci sono ragionevoli dubbi che tali atti possano essere considerati “atti medici” o “trattamenti medici” in senso proprio, analogamente ad altre terapie di supporto vitale, quali, ad esempio, la ventilazione meccanica. Acqua e cibo non diventano infatti una terapia medica soltanto perché vengono somministrati per via artificiale; si tratta di una procedura che (pur richiedendo indubbiamente una attenta scelta e valutazione preliminare del medico), a parte il piccolo intervento iniziale, è gestibile e sorvegliabile anche dagli stessi familiari del paziente (non essendo indispensabile la ospedalizzazione). Si tratta di una procedura che, rispettando condizioni minime (la detersione, il controllo della postura), risulta essere ben tollerata, gestibile a domicilio da personale non esperto con opportuna preparazione (lo dimostra il fatto che pazienti non in SVP possono essere nutriti con tale metodo senza che ciò impedisca loro una vita di relazione quotidiana). Procedure assistenziali non costituiscono atti medici solo per il fatto che sono messe in atto inizialmente e monitorate periodicamente da operatori sanitari. La modalità di assunzione o somministrazione degli elementi per il sostentamento vitale (fluidi, nutrienti) non rileva dal punto di vista bioetico: fornire naturalmente o artificialmente (con l’ausilio di tecniche sostitutive alle vie naturali) nutrizione e idratazione, alimentarsi o dissetarsi da soli o tramite altri (in modo surrogato, al di fuori dalla partecipazione attiva del soggetto) non costituiscono elementi di differenziazione nella valutazione bioetica. Il fatto che il nutrimento sia fornito attraverso un tubo o uno stoma non rende l'acqua o il cibo un preparato artificiale (analogamente alla deambulazione, che non diventa artificiale quando il paziente deve servirsi di una protesi). Né d'altronde si può ritenere che l'acqua ed il cibo diventino una terapia medica o sanitaria solo perché a fornirli è un'altra persona. Il problema non è la modalità dell’atto che si compie rispetto alla persona malata, non è come si nutre o idrata: alimentazione e idratazione sono atti dovuti in quanto supporti vitali di base, nella misura in cui consentono ad un individuo di restare in vita. Anche se si trattasse di trattamento medico, il giudizio sull'appropriatezza ed idoneità di tale trattamento dovrebbe dipendere solo dall'oggettiva condizione del paziente (cioè dalle sue effettive esigenze cliniche misurate sui rischi e benefici) e non da un giudizio di altri sulla sua qualità di vita, attuale e/o futura.
Se è poco convincente definire la PEG un “atto medico”, a maggior ragione si dovrebbe escludere la possibilità che essa si configuri di norma come “accanimento terapeutico”. La decisione di non intraprendere o di interrompere la nutrizione e la idratazione artificiale non è disciplinata dai principi che regolano gli atti medici (con riferimento ad altri supporti vitali): in genere si ritiene doveroso sospendere un atto medico quando costituisce accanimento, ossia persistenza nella posticipazione ostinata tecnologica della morte ad ogni costo, prolungamento gravoso della vita oltre i limiti del possibile (quando la malattia è grave e inguaribile, essendo esclusa con certezza la reversibilità, quando la morte è imminente e la prognosi infausta, le terapie sono sproporzionate, onerose, costose, inefficaci ed inutili per il miglioramento delle condizioni del paziente, sul piano clinico). Nella misura in cui l’organismo ne abbia un obiettivo beneficio nutrizione ed idratazione artificiali costituiscono forme di assistenza ordinaria di base e proporzionata (efficace, non costosa in termini economici, di agevole accesso e praticabilità, non richiedendo macchinari sofisticati ed essendo, in genere, ben tollerata). La sospensione di tali pratiche va valutata non come la doverosa interruzione di un accanimento terapeutico, ma piuttosto come una forma, da un punto di vista umano e simbolico particolarmente crudele, di “abbandono” del malato: non è un caso infatti che si richieda da parte di molti, come atto di coerenza, l’immediata soppressione eutanasica dei pazienti in SVP nei cui confronti si sia decisa l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione, per evitare che dopo un processo che può prolungarsi anche per due settimane giungano a “morire di fame e di sete”.
Non sussistono invece dubbi sulla doverosità etica della sospensione della nutrizione nell’ipotesi in cui nell’imminenza della morte l'organismo non sia più in grado di assimilare le sostanze fornite: l’unico limite obiettivamente riconoscibile al dovere etico di nutrire la persona in SVP è la capacità di assimilazione dell’organismo (dunque la possibilità che l’atto raggiunga il fine proprio non essendovi risposta positiva al trattamento) o uno stato di intolleranza clinicamente rilevabile collegato all’ alimentazione.
Si deve pertanto parlare di valenza umana della cura (care) dei pazienti in SVP. Se riteniamo comunemente doveroso fornire acqua e cibo alle persone che non sono in grado di procurarselo autonomamente (bambini, malati e anziani), quale segno della civiltà caratterizzata da umanità e solidarietà nel riconoscimento del dovere di prendersi cura del più debole, allo stesso modo dovremmo ritenere doveroso dare alimenti e liquidi a pazienti in SVP, accudendoli per le necessità fisiche e accompagnandoli emotivamente e psichicamente, nella peculiare condizione di vulnerabilità e fragilità. E’ questo un atteggiamento che assume un forte significato oltre che umano, anche simbolico e sociale di sollecitudine per l’altro. Non possiamo ricondurre la decisione di curare/non curare, assistere/non assistere un malato in SVP alla fredda logica utilitaristica del bilanciamento dei costi e dei benefici (considerando scarsi i benefici in termini di recupero e alti i costi economici di assistenza), del calcolo della qualità della vita altrui (e della propria, considerando il malato un “peso” familiare oltre che sociale), limitando le considerazioni alla convenienza e alla opportunità e non anche al dovere e alla responsabilità solidale verso gli altri.
Nel contesto del presente documento è opportuno elaborare alcune considerazioni in merito alla possibilità che un soggetto, nel redigere alcune Dichiarazioni anticipate di trattamento, vi inserisca la richiesta di sospensione di alimentazione e idratazione, nella previsione di un suo possibile futuro venirsi a trovare in una situazione di SVP. Non c’è dubbio che la formulazione di questa richiesta sia assolutamente lecita, così come non è dubbio che una simile richiesta non possa che essere del tutto generica, essendo difficilissimo prevedere le modalità specifiche del futuro realizzarsi di eventi così particolari. Il criterio etico fondamentale al quale riferirsi per valutare la legittimità dei contenuti delle Dichiarazioni anticipate è stato individuato dal CNB in un documento dedicato formalmente alle Dichiarazioni anticipate di trattamento e approvato il 18 dicembre 2003. In esso, al § 6, il CNB ha ritenuto unanimemente che nelle Dichiarazioni “ogni persona ha il diritto di esprimere i propri desideri anche in modo anticipato in relazione a tutti i trattamenti terapeutici e a tutti gli interventi medici circa i quali può lecitamente esprimere la propria volontà attuale”. Non è quindi da mettere in dubbio che quando alimentazione e idratazione assumano carattere straordinario e la loro sospensione sia stata validamente richiesta dal paziente nelle proprie Dichiarazioni anticipate, il medico potrebbe accedere a tale richiesta (nelle modalità peraltro indicate dal CNB nel predetto documento), anche se a questa soluzione sembra che osti la grande difficoltà (psicologica ed umana) cui sopra si è fatto cenno, quella di lasciar morire il paziente per inedia. E’ però diversa l’ipotesi –che in queste pagine è ritenuta quella tipica- in cui alimentazione e idratazione più che il carattere di un atto medico, abbano quello di una ordinaria assistenza di base. Ad avviso dei membri del CNB che sottoscrivono questo documento, la richiesta nelle Dichiarazioni anticipate di trattamento di una sospensione di tale trattamento si configura infatti come la richiesta di una vera e propria eutanasia omissiva, omologabile sia eticamente che giuridicamente ad un intervento eutanasico attivo, illecito sotto ogni profilo.
Alla luce delle precedenti considerazioni, il CNB ribadisce conclusivamente che:
a) la vita umana va considerata un valore indisponibile, indipendentemente dal livello di salute, di percezione della qualità della vita, di autonomia o di capacità di intendere e di volere;
b) qualsiasi distinzione tra vite degne e non degne di essere vissute è da considerarsi arbitraria, non potendo la dignità essere attribuita, in modo variabile, in base alle condizioni di esistenza;
c) l’idratazione e la nutrizione di pazienti in SVP vanno ordinariamente considerate alla stregua di un sostentamento vitale di base;
d) la sospensione dell’idratazione e della nutrizione a carico di pazienti in SVP è da considerare eticamente e giuridicamente lecita sulla base di parametri obiettivi e quando realizzi l’ipotesi di un autentico accanimento terapeutico;
e) la predetta sospensione è da considerarsi eticamente e giuridicamente illecita tutte le volte che venga effettuata, non sulla base delle effettive esigenze della persona interessata, bensì sulla base della percezione che altri hanno della qualità della vita del paziente.
Nella seduta plenaria del 30 settembre 2005 questo testo ha riscosso l’adesione dei seguenti membri del CNB:
Prof. Salvatore Amato, prof. Sergio Belardinelli, prof.ssa Paola Binetti, prof. Adriano Bompiani, prof.ssa Luisa Borgia, dott. Carlo Casini, prof. Francesco D’Agostino, prof. Luigi De Carli, prof. Luciano Eusebi, prof. Giovanni Federspil, prof. Angelo Fiori, prof. Aldo Isidori, prof. Corrado Manni, prof. Luca Marini, prof. Vittorio Mathieu, prof.ssa Laura Palazzani, prof.ssa Paola Ricci Sindoni, prof. Giancarlo Umani Ronchi.
Hanno votato contro questo documento i seguenti membri del CNB:
Prof. Mauro Barni, prof.ssa Luisella Battaglia, prof.ssa Cinzia Caporale, prof.ssa Isabella Coghi, prof. Lorenzo d’Avack, prof. Carlo Flamigni, dott.ssa Laura Guidoni, prof. Demetrio Neri.
Si è astenuto dal voto: prof. Silvio Ferrari.
POSTILLA
I sottoscritti, assenti dalla seduta Plenaria del Comitato Nazionale per la Bioetica del 30 settembre 2005, comunicano la propria adesione al documento L’alimentazione e l’idratazione di pazienti in stato vegetativo persistente.
Prof.ssa Maria Luisa Di Pietro, Dott. Gianfranco Iadecola, Prof. Elio Sgreccia
POSTILLA
L’affermazione che connota il documento del CNB, secondo la quale l’idratazione e la alimentazione dei pazienti in SVP è da considerare come doveroso “sostentamento” di base del paziente e non come trattamento medico in senso stretto, è espressiva di un inquadramento ideologico del tema, rispettabile ma completamente estraneo alla realtà clinica e alla autonomia tanto dell’assistito (di cui viene disattesa persino una eventuale direttiva anticipata) quanto del medico, siffattamente deprivato della sua fondamentale potestà professionale, ch’è quella di stabilire con scienza e coscienza il momento in cui una terapia anche di mero sostegno vitale si trasforma in futile e impietoso accanimento (condannato da ogni istanza etica, deontologica e scientifica)d’altronde il trattamento in questione è continuativamente caratterizzato da valutazioni e scelte mediche modulate volta a volta sulla specifica condizione di ogni paziente e si sviluppa attraverso momenti di controllo e di prescrizione di specifica e specialistica competenza medica: il che trova riscontro in ogni linea-guida, in ogni inquadramento clinico-scientifico dello SVP, al punto di renderne superflua la ripetizione.
Il documento approvato a maggioranza dal CNB risulta, invece costruito, su premesse scientificamente erronee ed è quindi incompatibile con una prassi medica non dominata dalla ideologia .
Ciò non significa che la diagnosi di SVP autorizzi di per sé l’abbandono del paziente e di ogni provvedimento curativo; ma che data l’assoluta “certezza” di irrecuperabilità dopo un tempo che non supera un anno (da considerare in ogni caso con estremo scrupolo prognostico), sia materia esclusiva di una valutazione clinico-scientifica sorretta così come occorre nella massima parte dei paesi evoluti, da garanzie ed evidenze tecniche e temporali, magari da stabilire indicativamente così come è avvenuto (pacificamente) per la condizione di cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo, certificabile solo nella convergenza di parametri e segni, stabiliti dalla scienza e fatti propri dalla legge, tali da consentire la sospensione di ogni trattamento di sostegno vitale.
D’altronde, su questa posizione di chiarezza si attestò il parere espresso da una commissione scientifica all’uopo costituita (1999) dal Ministro della Salute, prof. Veronesi.
Prof. Mauro Barni
NOTA INTEGRATIVA
Rammaricandosi per il fatto che non sia stato possibile perseguire fino in fondo la via della redazione di un documento unico anche se non unitario, i Proff. Mauro Barni, Luisella Battaglia, Cinzia Caporale, Isabella Maria Coghi, Lorenzo D’Avack, Renata De Benedetti Gaddini, Carlo Flamigni, Silvio Garattini, Laura Guidoni, Demetrio Neri, Alberto Piazza, Marco Lorenzo Scarpelli, Michele Schiavone, si esprimono favorevolmente rispetto all’ipotesi di sospensione dell’idratazione e della nutrizione a carico di pazienti in SVP, in determinate circostanze e con opportune garanzie. Gli stessi Professori dichiarano quindi il proprio voto contrario al Documento(1) approvato dalla maggioranza dei Componenti del CNB, motivando tale scelta con le seguenti considerazioni.
Tralasciando i primi tre paragrafi del Documento che, opportunamente modificati nella discussione svoltasi nella seduta plenaria del 16 settembre, sono condivisibili in quanto descrizione del quadro clinico denominato “stato vegetativo” (par.2) e introduzione al tipo di problemi da affrontare (par.3), un primo punto di dissenso riguarda il contenuto dei paragrafi 4-5-6 e 7, in particolare relativamente alla tesi secondo cui l’alimentazione e l’idratazione artificiali non possono essere considerati trattamenti medici in senso proprio.
A tal riguardo, occorre sottolineare con forza che esiste una tendenza ormai costante, e sempre più diffusa nella comunità scientifica nazionale e internazionale, a favore della tesi inversa, ovvero che l’alimentazione e l’idratazione artificiali costituiscano a tutti gli effetti un trattamento medico(2), al pari di altri trattamenti di sostegno vitale, quali, ad esempio, la ventilazione meccanica. Ventilazione meccanica che viceversa il Documento ritiene inopportuno evocare come elemento di paragone: quasi che fornire meccanicamente aria a un paziente che non può assumerla da sé, non fosse altrettanto “indispensabile per garantire le condizioni fisiologiche di base per vivere”, quanto, secondo il Documento, lo è il fornirgli alimentazione e idratazione artificiali.
Sono, queste ultime, trattamenti che sottendono conoscenze di tipo scientifico e che soltanto i medici possono prescrivere, soltanto i medici possono mettere in atto attraverso l’introduzione di sondini o altre modalità anche più complesse, e soltanto i medici possono valutare ed eventualmente rimodulare nel loro andamento; ciò anche se la parte meramente esecutiva può essere rimessa – come peraltro accade per moltissimi altri trattamenti medici – al personale infermieristico o in generale a chi assiste il paziente. Non sono infatti “cibo e acqua” – come affermato dal Documento – a essere somministrati, ma composti chimici, soluzioni e preparati che implicano procedure tecnologiche e saperi scientifici; e le modalità di somministrazione non sono certamente equiparabili al “fornire acqua e cibo alle persone che non sono in grado di procurarselo autonomamente (bambini, malati, anziani)” (par.7). Questo linguaggio altamente evocativo ed emotivamente coinvolgente, del quale i paragrafi in esame sono intessuti, è finalizzato a sostenere la tesi del “forte significato oltre che umano, anche simbolico e sociale di sollecitudine per l’altro” (par.7) rivestito dalla somministrazione, anche per vie artificiali, di “cibo e acqua”. Tuttavia, di nuovo, resta incomprensibile – nel senso che nel Documento non viene fornita alcuna motivazione in proposito – perché nello stesso contesto si sostenga che “tale valenza non riguarda ad esempio la respirazione artificiale o la dialisi”. In un’etica dell’aver cura non può essere discriminante la natura più o meno tecnologica dei trattamenti: qualunque trattamento medico o non medico, anche il più banale, può e dovrebbe rivestire la valenza della sollecitudine per l’altro.
In ogni caso, pur tenendo fermo che se si ragiona sulla natura di questo o quel trattamento non si possono ignorare i pareri delle società scientifiche, chi sottoscrive questa nota integrativa al Documento sottolinea che il giudizio sull’appropriatezza bioetica di tali trattamenti dipende soltanto in parte – o persino affatto, come sostengono alcuni tra gli scriventi – dalla loro catalogazione come* *trattamenti medici, come del resto in una certa misura ammette lo stesso Documento nella frase che chiude il par. 4.
Potrebbe forse dipendere da tale catalogazione la soluzione di problemi medico-legali e deontologici, ma non ne dipende certo, e comunque non automaticamente, il giudizio di appropriatezza bioetica, il quale – esattamente come nel caso di qualunque altro trattamento – deve prendere in considerazione altri fattori. Tra questi: la condizione in cui versa il paziente e la concezione della propria vita che il paziente stesso può aver manifestato, in varie forme, prima dell’ingresso in SVP.
Non si tratta di formulare giudizi o di ammettere “giudizi di altri” – come paventato dal Documento – sulla “qualità della vita attuale e/o futura” di questi pazienti, ma, al contrario, di esplorare la possibilità di ricostruire il giudizio che il paziente stesso avrebbe formulato circa la propria condizione, oppure di verificare quali preferenze il paziente stesso abbia esplicitamente e chiaramente espresso sotto forma di direttive anticipate. Le due diverse strade si aprono a seconda del principio bioetico cui si fa riferimento: in Gran Bretagna, ad esempio, si punta in genere a stabilire se la permanenza in quella condizione sia nel “miglior interesse” del paziente; mentre negli USA viene considerato prevalente l’interesse del rispetto dell’autonomia del paziente, anche nel caso in cui egli non possa più esercitarla in modo attuale. Queste e altre possibili vie possono essere seguite per trovare soluzioni umanamente accettabili a queste drammatiche situazioni. I firmatari della presente nota integrativa si augurano che il CNB riesamini la tematica, la cui analisi è già iniziata nel precedente mandato, trattandosi di questioni che richiedono ben altro approfondimento.
Si deve inoltre osservare – con particolare riferimento ai paragrafi 5 e 6 – che l’idratazione e l’alimentazione artificiali non possono quasi mai trasformarsi in una forma di accanimento terapeutico (sebbene possano diventare accanimento puro e semplice), neppure nei casi, rari ma ipotizzabili, di cui al par.6.
Rispetto a questo paragrafo, c’è però da rilevare che non è realistico, né scientificamente adeguato, parlare di un organismo che “non è più” in grado di assimilare le sostanze fornite (in questo caso il trattamento diverrebbe tra l’altro del tutto futile). È viceversa realistico parlare di un organismo che presenta una sempre più ridotta capacità di assimilazione senza che sia possibile in astratto indicare la soglia al di sotto della quale la capacità di assimilazione diventa insufficiente e, quindi, i nutrienti artificialmente somministrati non raggiungono più il loro scopo biologico di modificare, sia pure in misura sempre più limitata, i parametri bio-umorali.
Non si comprende quindi per quale ragione la sospensione di tali trattamenti nel caso di pazienti in SVP(3) – che in ogni caso non hanno consapevolezza del fatto di essere nutriti e idratati – costituirebbe “una forma, da un punto di vista umano e simbolico particolarmente crudele, di «abbandono» del malato” (che, secondo il Documento approvato, esigerebbe, in chi la proponesse, la coerenza di richiedere anche la soppressione eutanasica di questi pazienti), mentre tale “abbandono”, secondo lo stesso Documento, non si verificherebbe nel caso di pazienti con ridotta o ridottissima (ma presumibilmente mai nulla, almeno finché i pazienti sono in vita) capacità di assimilazione, per i quali il Documento prospetta addirittura la “doverosità” della sospensione. E neppure si comprende perché la difficoltà psicologica e umana di lasciar “morire di fame e di sete” un paziente, venga fatta valere nel caso dei pazienti in SVP e non anche nel caso di altro tipo di pazienti gravi con altrettanto ridotta capacità di assimilazione: conta forse il fatto che nel primo caso il processo del morire potrebbe protrarsi anche per due settimane, mentre nel secondo caso “solo” per pochi giorni o poche ore?
Lasciando da parte il fatto che quel che accade nella realtà non è certo riconducibile alle immagini strazianti che il linguaggio usato nel Documento indurrebbe a pensare, se il problema è costituito dal disagio psicologico e umano di chi ha in cura i pazienti (sempre che ciò costituisca un valido motivo), allora – una volta decisa la sospensione di quei trattamenti – in fase terminale si potrebbe procedere, nell’uno come nell’altro caso, alla sedazione; nel secondo caso ovviamente col consenso del paziente, se consapevole.
Non c’è quindi alcun bisogno di chiamare in causa il tema dell’eutanasia attiva: nel panorama del dibattito etico in materia è possibile argomentare a favore dell’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale (ivi comprese l’idratazione e l’alimentazione artificiale) senza dover per ciò stesso accettare l’ipotesi dell’intervento eutanasico diretto(4).
Un ulteriore punto di dissenso riguarda il contenuto del par.8, relativamente alla possibilità di inserire la richiesta di non inizio o sospensione dell’idratazione e alimentazione artificiali nella redazione delle Dichiarazioni anticipate di trattamento.
Il Documento Dichiarazioni anticipate di trattamento, approvato all’unanimità dal CNB il 18 dicembre 2003, recita testualmente: “Ogni persona ha il diritto di esprimere i propri desideri anche in modo anticipato in relazione a tutti i trattamenti terapeutici e a tutti gli interventi medici circa i quali può lecitamente esprimere la propria volontà attuale”. A giudizio degli scriventi da questa formulazione discende per logica conseguenza che qualunque trattamento o intervento rientra nella disponibilità della persona, indipendentemente dal fatto che sia ordinario o straordinario, che dia luogo o meno ad accanimento terapeutico, oppure – e a maggior ragione, costituendo l’alimentazione artificiale un intervento la cui cessazione comporta degli effetti perfettamente comprensibili dal paziente senza alcuna necessità di particolari informazioni o nozioni – che sia “ordinaria assistenza di base”. Non si vede, infatti, come sia possibile argomentare che una persona consapevole, che rifiutasse uno qualunque di questi interventi, possa essere costretta a subirne la somministrazione. E in relazione al tema in discussione, conviene anche ricordare che l’art. 51 del Codice italiano di deontologia medica recita: “Quando una persona, sana di mente, rifiuta volontariamente e consapevolmente di nutrirsi, il medico ha il dovere di informarla sulle conseguenze che tale decisione può comportare sulle sue condizioni di salute. Se la persona è consapevole delle possibili conseguenze della propria decisione, il medico non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale, ma deve continuare ad assisterla” (corsivi degli scriventi).
Se dunque una persona, nella piena consapevolezza della sua condizione e delle conseguenze del suo eventuale rifiuto, è libera di decidere su qualunque intervento gli venga proposto, ivi compresa la nutrizione artificiale, allora, in forza del principio sopra ricordato, non è possibile sottrarre alla medesima persona la libertà di dare disposizioni anticipate di analoga estensione, e quindi anche circa l’attivazione o non attivazione dell’idratazione e alimentazione artificiali, nel caso in cui si venisse a trovare nella condizione che, in base alle conoscenze mediche e ai protocolli disponibili, fosse diagnosticata come stato vegetativo.
Quanto alle considerazioni conclusive esposte nel par. 9, esse ovviamente discendono dal contenuto dei paragrafi precedenti e non sono quindi accettabili per coloro che sottoscrivono questa nota integrativa al Documento.
In conclusione appare tuttavia doveroso osservare che per ragionare bioeticamente sul caso dello SVP non è strettamente necessario chiamare in causa la controversia sul valore della vita umana, anche perché così facendo la discussione si sposta sul livello delle più complessive e, spesso, incomponibili concezioni del mondo e dell’uomo, sulle quali non dovrebbe essere compito del CNB prendere posizione. Si potrebbe semmai provare a ragionare sull’oggetto della controversia, chiedendosi, ad esempio, se l’indisponibilità o la disponibilità vada riferita alla vita come mera esistenza biologica o alla vita come biografia, all’essere vivi o all’avere una vita, un’esistenza.
Infine, non pare agli scriventi che sia il caso di richiamare la distinzione tra vite degne o non degne di essere vissute, poiché è sempre vero che la dignità delle persone non dipende dalle condizioni in cui le persone si trovano: possono invece essere le condizioni in cui le persone si trovano a essere più o meno degne delle persone. E, in questo caso, è convinzione degli scriventi – per alcuni subordinando sempre tale decisione al consenso esplicitamente espresso dal paziente in un momento precedente –, che è semmai da considerare come un estremo omaggio alla dignità della persona interrompere i trattamenti che mantengono tali condizioni non degne.
Prof. Mauro Barni, Prof.ssa Luisella Battaglia, Prof.ssa Cinzia Caporale, Prof.ssa Isabella Maria Coghi, Prof. Lorenzo d’Avack, Prof.ssa Renata De Benedetti Gaddini, Prof. Carlo Flamigni, Prof. Silvio Garattini, Dr.ssa Laura Guidoni, Prof. Demetrio Neri, Prof. Alberto Piazza, Dott. Marco Lorenzo Scarpelli, Prof. Michele Schiavone
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(1) Di seguito nella Nota integrativa indicata come: Documento.
(2) Si vedano, da ultimo, le Linee guida della Società italiana nutrizione
parenterale ed enterale (2002), con relativa bibliografia.
(3) Che, per alcuni tra i sottoscrittori, può comunque avvenire solo sulla
base di un’espressione esplicita di volontà da parte del paziente attraverso le
direttive anticipate.
(4) A tal proposito si confronti anche il § 120 della Carta per gli
operatori sanitari del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli operatori
sanitari: “L’alimentazione e l’idratazione, anche artificialmente
amministrate, rientrano tra le cure normali dovute sempre all’ammalato quando
non risultino gravose per lui: la loro indebita sospensione può avere il
significato di vera e propria eutanasia” (corsivi degli scriventi).
POSTILLA
Nella piena condivisione dei principi e dei contenuti del documento L'alimentazione e l'idratazione di pazienti in stato vegetativo persistente, approvato dal Comitato Nazionale per la Bioetica nella seduta Plenaria del 30 settembre 2005, riteniamo opportuno precisare - nella nostra qualità di medici - che quanto affermato in merito allo Stato vegetativo persistente si applica anche allo "Stato vegetativo permanente" circa il quale il giudizio di irreversibilità ha carattere prognostico probabilistico e non di assoluta certezza, essendo conosciute situazioni di reversibilità anche a notevole distanza di tempo dall'evento che ha danneggiato il cervello. Comunque, anche nei casi di "Stato vegetativo permanente" si tratta pur sempre di una vita umana che deve essere rispettata e tutelata, a maggior ragione perché in condizioni di estrema debolezza.
Prof.ssa Paola Binetti, Prof. Adriano Bompiani, Prof. Bruno Dallapiccola, Prof.ssa Maria Luisa Di Pietro, Prof. Giovanni Federspil, Prof. Angelo Fiori, Prof. Aldo Isidori, Prof. Corrado Manni
POSTILLA
Dopo aver letto il documento su “Alimentazione e idratazione di pazienti in stato vegetativo persistente” nel testo approvato in seduta plenaria del 30 settembre 2005 (alla quale non ho potuto partecipare), desidero render nota la mia piena adesione alle conclusioni formulate al paragrafo 9, precisamente quanto segue, a titolo di motivazione personale:
sotto il profilo bioetico, in Europa la persona in SVP non è former person (secondo i dettami formulati sul super-principio d’autonomy), ma è persona in senso pieno, la cui dignità deve essere protetta garantendo, ai sensi della “Convenzione sui diritti umani e la biomedicina” (art. 1), “senza discriminazione, il rispetto della sua integrità”;
sotto il profilo costituzionale, in Europa la persona il SVP, come qualsiasi altra persona, “ha diritto alla vita”, e di conseguenza “alla sua integrità fisica e mentale” (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, artt. II-62 e II-63);
sotto il profilo deontologico, In Italia “il medico non può abbandonare il malato ritenuto inguaribile, ma deve continuare ad assisterlo anche al solo fine di lenirne la sofferenza fisica e psichica” (Codice di deontologia medica, art. 20), nel quadro di “una medicina che si prenda cura” (Ventafridda – De Conno, 1990), fermo restando che se questa è “la filosofia delle cure palliative” (Eid), a maggior ragione deve esserlo per la cura dei pazienti in SVP, che non possono ritenersi sicuramente inguaribili;
sotto il profilo terminologico, non c’è bisogno di scomodare un termine alla moda (care) per evidenziare che l’alternativa tra “atto medico” e “procedura assistenziale” è qui un falso problema: basta ricorrere allo Zingarelli per scoprire (o riscoprire) che “cura” significa tanto “l’insieme di medicamenti e rimedi per il trattamento di una malattia” quanto “l’interessamento sollecito costante per qualcosa o qualcuno”.
Prof. Francesco Donato Busnelli
FONTE:
DIZIONARIO DE MAURO
s.f.
[...]
2 TS med., sospensione patologica della respirazione polmonare
Polirematiche
apnea dei neonati loc.s.f. TS med., disturbo dell'apparato respiratorio del neonato dovuto a spasmo della glottide
[...]
GARZANTI LINGUISTICA
Dal gr. ápnoia 'mancanza di respiro', comp. di a- priv. e di un deriv. di pnêin 'respirare's. f. (scient.) cessazione o sospensione dell'attività respiratoria | in apnea, senza respirare, riferito spec. alle immersioni subacquee.
GARZANTI - ENCICLOPEDIA DELLA MEDICINA Assenza del respiro; il termine viene generalmente usato per indicare la momentanea sospensione della respirazione che può essere volontaria oppure patologica (uremia, intossicazioni gravi, crisi ipertensiva ecc.) per depressione dei centri respiratori.
N. 08650/2009 REG.SEN.
N. 00693/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
contro
e con l'intervento di
per l'annullamento
Sul ricorso numero di registro generale 693 del 2009, proposto da: Movimento Difesa del Cittadino Mdc,
rappresentato e difeso dall'avv. Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso Gianluigi Pellegrino in Roma, corso
Rinascimento, 11;
Min del Lavoro della Salute e delle Politiche Sociali, Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Pres Cons Min - Comitato Nazionale Bioetica;
ad opponendum: Movimento per la Vita, rappresentato e difeso dagli avv. Filippo Vari, Studio Legale Loiodice &Associati, con domicilio eletto presso Studio Legale Loiodice & Associati in Roma, via Ombrone, 12 Pal B);
dell’atto del 16 dicembre 2008 con il quale sono state dettate ai Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano, disposizioni ed indirizzi volti a garantire che le strutture sanitarie pubbliche e private si uniformino ai principi sopra esposti compreso quello di garantire sempre la nutrizione e l’alimentazione nei confronti delle persone in Stato Vegetativo Persistente e quindi anche contro la volontà espressa in senso contrario;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Min del Lavoro della Salute e delle Politiche Sociali;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 marzo 2009 il dott. Linda Sandulli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso depositato in data 27 gennaio 2009 il Movimento Difesa del Cittadino, associazione di promozione sociale inserita nell’elenco istituito ex articolo 137 d.lgs. n. 206/2005 presso il Ministero dell’Attività Produttive impugna, chiedendone l’annullamento, il provvedimento adottato il 16 dicembre 2008 dal Ministro del Lavoro, salute e politiche comunitarie, indirizzato ai Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano con il quale sono state dettate le disposizioni e gli indirizzi volti a garantire sempre la nutrizione e l’alimentazione nei confronti delle persone in Stato Vegetativo Persistente e quindi anche contro la volontà espressa in senso contrario.
Deduce i seguenti motivi:
1)-Violazione degli articoli 2 e 32, comma 2, della Costituzione. Violazione dell’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Violazione dell’articolo 1 della legge n. 180 del 1978. Violazione dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
2)-Violazione dell’articolo 8 della legge n. 131 del 2003. Violazione dell’art. 117 della Costituzione.
Ha presentato atto di intervento ad opponendum (depositato il 21.3.09) il Movimento per la Vita che ha eccepito la mancanza di legittimazione a ricorrere dell’associazione ricorrente, per carenza di lesività dell’atto impugnato e per mancata impugnazione degli atti presupposti contestando la fondatezza del gravame nel merito.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata che ha eccepito, come l’interveniente, l’inammissibilità del ricorso sotto vari profili e contestato le argomentazione dell’associazione ricorrente nel merito.
All’udienza pubblica del 25 marzo 2009, preso atto della rinuncia, dichiarata a verbale dalla difesa di parte ricorrente, a tutti i termini a difesa nei confronti dell’atto d’intervento sopra citato, esperita la discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Innanzitutto deve considerarsi che sono state sollevate varie eccezioni pregiudiziali e preliminari fra le quali anche quella di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo sotto vari profili: in senso assoluto, per insussistenza della natura provvedimentale dell’atto impugnato e di una situazione soggettiva tutelabile;
in senso relativo, per l’assoluta discrezionalità del potere esercitato e perché il ricorso è volto alla tutela del diritto soggettivo della salute, assoluto ed inviolabile.
Il Collegio deve, quindi, darsi carico di stabilire l’ordine di esame e trattazione delle varie eccezioni che, oltre quella testé ricordata, riguardano anche: inammissibilità per difetto di legittimazione a ricorrere; inammissibilità per difetto della lesività dell’atto impugnato;
inammissibilità per mancata impugnazione di atti presupposti;
inammissibilità per difetto d’interesse.
E’ noto che, secondo la prevalente giurisprudenza, nell’ordine di esame delle questioni pregiudiziali, quella attinente la giurisdizione deve precedere ogni altra questione poiché anche le statuizioni sul rito costituiscono manifestazione di esercizio del potere giurisdizionale, di pertinenza esclusiva del giudice dichiarato competente a conoscere della controversia (Cons. St., sez. IV, 30.01.2009 n. 519; 20.09.2006 n. 5528; 27.12.2006 n. 7877; TAR Lazio RM, sez. III, 05.11.2007 n. 10894; TAR Valle d’Aosta 22.01.1999 n. 5). Tuttavia, non mancano in giurisprudenza esempi in cui sono state esaminate questioni preliminari (ad esempio, attinenti all’interesse a ricorrere) prima della verifica (ed a prescindere) della sussistenza della giurisdizione (TAR Lazio Latina, 14.02.2006 n. 145; 22.06.2005 n. 557; TAR Liguria, sez. II, 12.06.1997 n. 216).
Orbene, nel caso della controversia qui in esame, le argomentazioni poste a sostegno delle varie eccezioni pregiudiziali e preliminari presentano interconnessioni, nei sensi che saranno evidenti in seguito, tali da richiedere al Collegio di seguire un ordine inverso rispetto a quello indicato dalla prevalente giurisprudenza, in modo da trattare per ultima l’eccezione attinente la giurisdizione.
Va, preliminarmente, esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione a ricorrere del Movimento di difesa del cittadino, sollevata dall’amministrazione intimata e dall’interveniente ad opponendum.
Secondo tali parti, l’associazione ricorrente sarebbe priva della legittimazione attiva in quanto i molteplici campi di attività di sua competenza non ne comprenderebbero alcuno riferibile in modo puntuale a quello relativo alla questione in esame ed inoltre, l’atto impugnato non rivelerebbe alcun collegamento tra la predetta associazione e i suoi compiti.
D’altro canto la genericità degli ambiti rimessi alla sua competenza, che lambiscono tutti i settori dell’azione pubblica, non potrebbero risolversi in una legittimazione generale ad impugnare qualsiasi atto emanato da qualsiasi pubblica amministrazione. L’eccezione è infondata.
Iscritta nell’elenco istituito ex articolo 137 del D. Lgs. n. 206 del 2005 presso il Ministero delle attività produttive, il Movimento di difesa del cittadino opera, ex articolo, 2 lettera g) del suo Statuto, per “la tutela e la salute delle persone e del rispetto dei diritti del malato e della sua famiglia, anche nei rapporti con le strutture sanitarie pubbliche e private e con le aziende produttrici e distributrici di prodotti e servizi destinati alla salute delle persone.” Agendo la medesima, nel caso di specie, avverso un atto – la cui natura verrà definita in occasione dell’esame della seconda eccezione di inammissibilità del ricorso – indirizzato alle Regioni e teso a garantire un’uniformità di azione nel campo dell’assistenza sanitaria da parte di tutte le strutture sanitarie pubbliche e private, avverso un atto destinato, quindi, ad incidere direttamente sulle prestazioni che riguardano il malato che ne resta immediatamente coinvolto, lo stesso deve ritenersi rientrante nell’ ipotesi contemplata nella lettera g) prima esposta.
Ne consegue che l’associazione ricorrente risulta titolare della legittimazione ad agire. Viene, poi, in rilievo la seconda eccezione di inammissibilità con la quale le parti costituite, amministrazione resistente e interventore ad opponendum, affermano, la prima che l’atto impugnato è meramente ricognitivo delle disposizioni esistenti; la seconda che è interpretativo dei principi e delle previsioni esistenti; in entrambe le ipotesi che è inidoneo a produrre una qualunque lesione.
In particolare l’Amministrazione intimata assume che l’atto gravato, oltre ad essere meramente ricognitivo non potrebbe essere ritenuto adottato in violazione di una sentenza passata in giudicato.
La sentenza che si assume violata è quella relativa ad un caso particolare ed essendo, nello specifico, un provvedimento di volontaria giurisdizione non può dirsi passata in giudicato e tantomeno vincolante se non per le parti direttamente coinvolte. Essa sarebbe, pertanto, inidonea a vincolare l’autorità che ha emanato l’atto gravato, quindi l’Amministrazione che resiste nel presente giudizio, né questo Tribunale.
Prima di esaminare l’eccezione esposta nelle parti comuni dai soggetti prima citati, il Collegio ritiene di dover premettere che la questione sottoposta al suo esame è di carattere generale e prescinde, oramai, dal caso al quale fa riferimento l’Amministrazione, il quale risulta, allo stato, superato.
Se l’atto impugnato dovesse intendersi limitato a quella fattispecie al Collegio non resterebbe che dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.
Essendo, invece il provvedimento sulla cui natura ci si intratterrà immediatamente dopo, un provvedimento di carattere generale e quindi tuttora efficace, l’interesse alla decisionesopravvive e, in premessa, quello all’esame della seconda eccezione di inammissibilità del ricorso.
In relazione alla natura del provvedimento gravato osserva il Collegio che la lettura dell’atto impugnato depone per una interpretazione contraria alla tesi esposta da entrambe le parti costituite.
Infatti, dopo una premessa di carattere generale sui principi che richiama, in modo del tutto generico, il provvedimento in parola indica la sua finalità che è quella di “garantire uniformità di trattamenti di base su tutto il territorio nazionale e di rendere omogenee le pratiche in campo sanitario con riferimento a profili essenziali come la nutrizione e l’alimentazione nei confronti delle persone in Stato Vegetativo Persistente (SVP)”.
Richiama, quindi, il parere espresso dal Comitato nazionale per la bioetica nella seduta del 30 settembre 2005, di cui riporta alcuni brani per concludere che “la negazione della nutrizione e dell’alimentazione può configurarsi come una discriminazione fondata su valutazioni circa la qualità della vita di una persona con grave disabilità e in situazione di totale dipendenza”.
Richiama, infine, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 settembre 2006, sottoscritta dall’Italia il 30 marzo 2007 (e in corso di approvazione da parte del Parlamento italiano sia alla data di adozione dell’atto oggi in esame sia alla data della proposizione del ricorso) che prevede, all’articolo 25, il diritto di godere del migliore stato di salute possibile delle persone con disabilità compreso il rifiuto discriminatorio di cibo, di prestazioni di cure e servizi sanitari o cure.
Fatta questa premessa conclude con il ritenere incluse nel novero delle persone con disabilità quelle in SVP ed indica, nel rispetto della norma contenuta nell’articolo 25 ancora in itinere, il divieto di ogni discriminazione tra la persona in stato vegetativo rispetto a quella non in stato vegetativo.
Invita pertanto le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano ad adottare “le misure necessarie affinché le strutture sanitarie pubbliche e private si uniformino ai principi sopra esposti e aquanto previsto dall’articolo 25 della convenzione sui diritti delle persone con disabilità”.
Ora, deve considerarsi che il Comitato nazionale per la bioetica, istituito dopo la risoluzione n. 6-00038, approvata il 5 luglio 1988 dall'Assemblea della Camera dei Deputati, e nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28 marzo 1990, successivamente rinnovato, ha la funzione di “orientare gli strumenti legislativi ed amministrativi volti a definire i criteri da utilizzare nella pratica medica e biologica per tutelare i diritti umani ed evitare gli abusi ed ha il compito di garantire una corretta informazione dell'opinione pubblica sugli aspetti problematici e sulle implicazioni dei trattamenti terapeutici, delle tecniche diagnostiche e dei progressi delle scienze biomediche” (secondo la precisazione fornita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri) con un potere solamente consultivo e che l’articolo 25 del d.d.l. in itinere alle date indicate era anch’esso privo di contenuto cogente proprio in quanto contemplato da una proposta di legge in corso di approvazione.
Deve, conseguentemente, ritenersi che l’atto censurato con il quale si richiama la necessità di comportamenti uniformi, che si sostiene siano già esattamente previsti nei provvedimenti menzionati (parere Comitato bioetica e articolo 25 d.d.l. in itinere) sia in realtà un atto prescrittivo e innovativo sul piano dell’ordinamento positivo atteso che trasforma in obbligo di comportamento il contenuto di pareri e di proposte di disposizioni non ancora entrate nel quadro normativo di settore invitando le Regioni ad agire di conseguenza.
Deve ritenersi, allora, che lo stesso non possa essere ritenuto “inidoneo a produrre alcuna lesione” in quanto meramente ricognitivo.
Ma anche nel caso in cui lo si volesse intendere come atto interpretativo di principi esistenti teso a garantire uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale, l’atto rivelerebbe il suo contenuto potenzialmente lesivo.
Richiamare soltanto uno dei significati estraibili dai suddetti principi e pervenire alla loro applicazione omogenea sul territorio vuol dire che soltanto uno dei possibili significati viene prescelto divenendo, in tal modo operativo per tutti i soggetti operanti nell’ambito della Sanità.
Ancora una volta la difesa dell’Amministrazione resistente, richiama il caso relativo al provvedimento di volontaria giurisdizione pervenuto ormai alla sua concreta applicazione ed assume che proprio quel caso, che ha visto l’applicazione della sospensione dell’alimentazione e della nutrizione forzata senza conseguenze per la struttura privata che vi ha proceduto, testimonierebbe la non lesività del provvedimento gravato.
Ancora una volta il Collegio richiama l’ambito del suo intervento che non è quello di soffermarsi su una vicenda particolare ormai esaurita, ma sul contenuto generale dell’atto gravato.
In ogni caso ritiene che il richiamo alla vicenda sopraccitata sia del tutto improprio al fine che ci occupa atteso che quella vicenda ha visto la sua conclusione dopo una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 21748/2007 depositata il 16 ottobre 2007, che ha rinviato il caso ad una diversa sezione della Corte d'Appello di Milano, stabilendo due presupposti necessari per poter autorizzare l'interruzione dell'alimentazione artificiale, e dopo il decreto del 9 luglio 2008 con cui la stessa Corte ha autorizzato il genitore, in qualità di tutore, ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione forzata.
E’ in attuazione di questa complessa vicenda giudiziaria – riassunta molto sinteticamente – che la vicenda alla quale fa riferimento la difesa erariale si è conclusa senza conseguenze per la struttura che ha dato seguito al protocollo approvato; ma non può farsi discendere da ciò la conseguenza della fondatezza della tesi circa la non lesività dell’atto impugnato.
Del resto attribuire a tale atto la valenza indicata – di assoluta non lesività attesa la sua neutralità – significherebbe, in definitiva, eliminarlo dal mondo del diritto, ritenerlo cioè tamquam non esset.
In realtà, ritiene il Collegio che nella scelta operata dall’Amministrazione resistente con l’adozione del provvedimento in esame, non possa negarsi la sussistenza né di un carattere innovativo né di un carattere prescrittivo e quindi potenzialmente lesivo con la conseguenza che l’atto impugnato si rivela autonomamente impugnabile.
Anche la seconda eccezione deve essere, pertanto, disattesa.
Il Collegio procede, quindi, all’esame della terza eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione degli atti presupposti sollevata dal Movimento per la Vita.
Ad avviso di quest’ultimo l’Associazione ricorrente avrebbe dovuto impugnare il DPCM del 29 novembre 2001 sui “Livelli essenziali di assistenza” e relativi allegati come modificati ad opera del DPCM 5 marzo 2007 e il Piano Sanitario Nazionale che contengono gli stessi principi ribaditi nell’atto gravato e dunque non prevedono la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione della persona.
L’eccezione è palesemente infondata.
Premesso che il provvedimento gravato trova il suo fondamento, per sua espressa previsione, negli atti sopra riportati (parere Comitato per la bioetica e articolo 25 ddl in itinere) tra i quali non figurano quelli appena riferiti, deve osservarsi che oggetto della contestazione in esame non è una mancata prestazione ma, al contrario, l’imposizione di una determinata prestazione sicché l’argomentazione svolta, che si basa sulla mancanza di una previsione espressa che consenta la non alimentazione in determinati casi, non coglie nel segno dovendosi fare riferimento a ciò che è previsto e non a ciò che non è disciplinato.
Resta da esaminare l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sollevata dalla difesa erariale.
Si tratta di questione che chiama in se la natura della posizione giuridica coinvolta.
Ne consegue che per valutarla occorre esaminare sia la prescrizione del Ministero della Salute sia la posizione che la stessa ricorrente assume violata.
Con la prima censura la ricorrente associazione lamenta la violazione degli articoli 2 e 32, comma 2, della Costituzione; la violazione dell’articolo 1 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dell’articolo 1 della legge n. 180 del 1978.
L’articolo 32, comma 2, della Costituzione, l’articolo 3 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’articolo 1 della legge n. 180 del 1978 prevedono tutti che ogni individuo ha il diritto di non essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario (se non per disposizione di legge, secondo la nostra carta costituzionale).
Il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari è fondato sulla disponibilità del bene “salute” da parte del diretto interessato e sfocia nel suo consenso informato ad una determinata prestazione sanitaria.
Da tale premessa consegue che i pazienti in Stato Vegetativo Permanente, che non sono in grado di esprimere la propria volontà sulle cure loro praticate o da praticare e non devono, in ogni caso, essere discriminati rispetto agli altri pazienti in grado di esprimere il proprio consenso possano, nel caso in cui la loro volontà sia stata ricostruita, evitare la pratica di determinate cure mediche nei loro confronti.
Conseguentemente la verifica circa l’obbligatorietà della prestazione sempre e comunque di trattamenti sanitari anche nell’ipotesi di accertata volontà contraria del paziente attiene al diritto della dignità umana che, ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, deve essere tutelata.
Alla luce di tale precisazione e considerato che con Legge n. 18 del 3 marzo 2009 l’Italia ha ratificato e reso esecutiva la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ed il relativo Protocollo opzionale, a conclusione di un lungo iter legislativo avviato il 30 marzo 2007 a seguito della firma dei due strumenti giuridici internazionali, sul testo adottato dall’Assemblea generale dell’ONU il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008, il ricorso deve ritenersi inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice adito.
La parte precettiva contenuta nell’articolo di detta convenzione, all’articolo 25 lettera f), dispone che “gli Stati riconoscono che le persone con disabilità hanno il diritto di godere del migliore stato di salute possibile, senza discriminazioni fondate sulla disabilità” evitando di “prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità”.
Vertendosi in materia di diritti soggettivi la cognizione della loro eventuale lesione appartiene, infatti, al giudice ordinario.
Ma il difetto di giurisdizione va valutato anche con riferimento alla questione dell’imposizione di un identico trattamento a tutti i malati affetti dalle patologie descritte su tutto il suolo nazionale, anche di coloro dei quali sia stata accertata la volontà di rifiuto.
E’ stato ripetutamente affermato che: “Nel caso del diritto alla salute o di altri diritti essenziali di pari rango a causa del carattere esistenziale di inerenza alla persona che essi rivestono, la rilevanza centrale del principio di autodeterminazione vale a qualificarli come veri e propri diritti di libertà (ed in questo senso, la risoluzione del Parlamento
Europeo (EU) del maggio 1997 garantisce ai cittadini la più ampia libertà possibile di “Scelta Terapeutica”). Ne discende che ogni soggetto leso nella sua integrità psico-fisica non ha solo il diritto di essere curato, ma vanta una pretesa costituzionalmente qualificata di essere curato nei termini in cui egli stesso desideri, spettando solo a lui decidere a quale terapia sottoporsi o, eventualmente, a quale struttura più idonea affidare le sue aspettative di celere e sicura guarigione. Tali principi, già direttamente evincibili dalla nostra carta costituzionale, hanno trovato piena attuazione nel D.lgs. n. 502 del 1992 di riforma del nostro sistema sanitario, laddove, essendosi aperto definitivamente il mercato delle prestazioni sanitarie ai produttori privati attraverso il sistema dell’accreditamento, si è proprio inteso valorizzare ed attuare, in un’ottica costituzionalmente orientata, la libertà di scelta curativa del paziente, attraverso il passaggio da una visione monopolistico/ pubblicistica del settore sanitario ad una visione liberista ed elastica del medesimo, fondata sul pluralismo dell’offerta”
(Tribunale Nola, sez. II, 22 gennaio 2009, n. 213).
E’ stato ancora affermato che “Sulla base della legislazione emanata in ambito sanitario (si richiama l'art. 33, l. istitutiva del S.s.n. n. 833/78 che qualifica i trattamenti sanitari come, di norma, volontari) e delle pronunce giurisdizionali, il sistema giuridico si caratterizza attualmente in materia di autodeterminazione consapevole del paziente per una soglia particolarmente elevata dei consensi ai trattamenti sanitari, sostenuta da uno scopo di rango elevato qual è il diritto alla salute. È proprio questa soglia che qualifica il rapporto fra medico e paziente imponendo al medico di non attribuire alle sue valutazioni e decisioni, per quanto oggettivamente dirette alla salvaguardia del diritto alla salute del paziente, una forza di giustificazione dell'intervento che esse di per sé sole non hanno o, meglio, non hanno più come in passato - giacché devono rapportarsi con un altro diritto di rango costituzionale qual è quello della libertà personale che l'art. 13 qualifica come inviolabile”
( Tribunale Milano, sez. V, 16 dicembre 2008, n. 14883).
Ora, sembra al Collegio che anche la configurazione della pretesa tutela del diritto che si pretende leso rientri nella cognizione del giudice ordinario trattandosi ancora una volta di posizione qualificabile quale diritto soggettivo. Ma depone in tale senso anche la considerazione fatta propria dal giudice amministrativo nella sentenza del T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 9 aprile 2009, n. 1883 ove si afferma che: “ A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004, è venuta meno (con effetto estensibile anche ai giudizi in corso) la previsione dell'art. 33 comma 2, lett. e), d.lgs. n. 80 del 1998, nel testo di cui alla l. n. 205 del 2000, la quale devolveva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie "riguardanti le attività e prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito del servizio sanitario..."; ne deriva che le controversie relative alle prestazioni erogate nell'ambito del S.S.N., nascenti da una posizione creditoria collegata al diritto del cittadino alla salute, per sua natura non comprimibile ad opera dell'attività autorizzativa dell'Amministrazione, sono devolute alla cognizione del giudice ordinario, ai sensi del criterio generale di riparto della giurisdizione”.
Alla luce delle precisazioni svolte non resta al Collegio che dichiarare il proprio difetto di giurisdizione.
Le spese di giudizio in considerazione della natura della questione trattata, possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso proposto dal Movimento difesa del cittadino, meglio specificato in epigrafe.
Compensa le spese di lite tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2009 con l'intervento dei Magistrati:
Mario Di Giuseppe, Presidente
Linda Sandulli, Consigliere, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/09/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
DIZIONARIO DE MAURO
AU aiuto materiale e morale che si presta a chi ne ha bisogno: dare, prestare a. ai bisognosi, agli ammalati | aiuto costituito da una prestazione professionale: aver bisogno dell'a. di un medico, di un avvocato
CO attività svolta da enti pubblici o privati a favore di determinate categorie sociali: a. sanitaria, a. ospedaliera, a. psichiatrica, vivere dell'a. pubblica
BU l'essere presente
GARZANTI LINGUISTICA http://www.garzantilinguistica.it/http://www.garzantilinguistica.it [...] s. f. 1 l'assistere, l'essere assistito 2 nel linguaggio giuridico: assistenza giudiziaria, istituto che consente, a chi non ha mezzi economici sufficienti, di tutelare giudiziariamente i propri diritti; assistenza familiare quella reciproca dei coniugi, e dei genitori verso i figli 3 soccorso, aiuto prestato a chi ne abbia bisogno: prestare assistenza ai feriti 4 attività svolta da organi o enti per venire incontro alle necessità di determinate categorie sociali: assistenza ospedaliera, psichiatrica, scolastica, sociale | anche i mezzi usati per questo scopo: vivere della pubblica assistenza [...]
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2010
Art. 1.
(Finalità).
La presente legge tutela il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore.
È tutelato e garantito, in particolare, l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del malato, come definito dall'articolo 2, comma 1, lettera c), nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell'autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l'equità nell'accesso all'assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni.
Per i fini di cui ai commi 1 e 2, le strutture sanitarie che erogano cure palliative e terapia del dolore assicurano un programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia, nel rispetto dei seguenti princìpi fondamentali:
a) tutela della dignità e dell'autonomia del malato, senza alcuna discriminazione;
b) tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine;
c) adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia.
Art. 2.
(Definizioni).
a) «cure palliative»: l'insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici;
b) «terapia del dolore»: l'insieme di interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore;
c) «malato»: la persona affetta da una patologia ad andamento cronico ed evolutivo, per la quale non esistono terapie o, se esse esistono, sono inadeguate o sono risultate inefficaci ai fini della stabilizzazione della malattia o di un prolungamento significativo della vita, nonché la persona affetta da una patologia dolorosa cronica da moderata a severa;
d) «reti»: la rete nazionale per le cure palliative e la rete nazionale per la terapia del dolore, volte a garantire la continuità assistenziale del malato dalla struttura ospedaliera al suo domicilio e costituite dall'insieme delle strutture sanitarie, ospedaliere e territoriali, e assistenziali, delle figure professionali e degli interventi diagnostici e terapeutici disponibili nelle regioni e nelle province autonome, dedicati all'erogazione delle cure palliative, al controllo del dolore in tutte le fasi della malattia, con particolare riferimento alle fasi avanzate e terminali della stessa, e al supporto dei malati e dei loro familiari;
e) «assistenza residenziale»: l'insieme degli interventi sanitari, socio-sanitari e assistenziali nelle cure palliative erogati ininterrottamente da équipe multidisciplinari presso una struttura, denominata «hospice»;
f) «assistenza domiciliare»: l'insieme degli interventi sanitari, socio-sanitari e assistenziali che garantiscono l'erogazione di cure palliative e di terapia del dolore al domicilio della persona malata, per ciò che riguarda sia gli interventi di base, coordinati dal medico di medicina generale, sia quelli delle équipe specialistiche di cure palliative, di cui il medico di medicina generale è in ogni caso parte integrante, garantendo una continuità assistenziale ininterrotta;
g) «day hospice»: l'articolazione organizzativa degli hospice che eroga prestazioni diagnostico-terapeutiche e assistenziali a ciclo diurno non eseguibili a domicilio;
h) «assistenza specialistica di terapia del dolore»: l'insieme degli interventi sanitari e assistenziali di terapia del dolore erogati in regime ambulatoriale, di day hospital e di ricovero ordinario e sul territorio da équipe specialistiche.
Art. 3.
(Competenze del Ministero della salute e della Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano).
Le cure palliative e la terapia del dolore costituiscono obiettivi prioritari del Piano sanitario nazionale ai sensi dell'articolo 1, commi 34 e 34-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni.
Nel rispetto delle disposizioni sul riparto delle competenze in materia tra Stato e regione, il Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, definisce le linee guida per la promozione, lo sviluppo e il coordinamento degli interventi regionali negli ambiti individuati dalla presente legge, previo parere del Consiglio superiore di sanità, tenuto conto anche dell'accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in materia di cure palliative pediatriche sottoscritto il 27 giugno 2007 e del documento tecnico sulle cure palliative pediatriche approvato il 20 marzo 2008 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
L'attuazione dei princìpi della presente legge in conformità alle linee guida definite ai sensi del comma 2 costituisce adempimento regionale ai fini dell'accesso al finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale a carico dello Stato.
Il Comitato paritetico permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 9 dell'intesa sottoscritta il 23 marzo 2005 tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 105 del 7 maggio 2005, valuta annualmente lo stato di attuazione della presente legge, con particolare riguardo all'appropriatezza e all'efficienza dell'utilizzo delle risorse e alla verifica della congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione.
Art. 4.
(Campagne di informazione).
Il Ministero della salute, d'intesa con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, promuove nel triennio 2010-2012 la realizzazione di campagne istituzionali di comunicazione destinate a informare i cittadini sulle modalità e sui criteri di accesso alle prestazioni e ai programmi di assistenza in materia di cure palliative e di terapia del dolore connesso alle malattie neoplastiche e a patologie croniche e degenerative, anche attraverso il coinvolgimento e la collaborazione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, delle farmacie pubbliche e private nonché delle organizzazioni private senza scopo di lucro impegnate nella tutela dei diritti in ambito sanitario ovvero operanti sul territorio nella lotta contro il dolore e nell'assistenza nel settore delle cure palliative.
Le campagne di cui al comma 1 promuovono e diffondono nell'opinione pubblica la consapevolezza della rilevanza delle cure palliative, anche delle cure palliative pediatriche, e della terapia del dolore, al fine di promuovere la cultura della lotta contro il dolore e il superamento del pregiudizio relativo all'utilizzazione dei farmaci per il trattamento del dolore, illustrandone il fondamentale contributo alla tutela della dignità della persona umana e al supporto per i malati e per i loro familiari.
Per la realizzazione delle campagne di cui al presente articolo è autorizzata la spesa di 50.000 euro per l'anno 2010 e di 150.000 euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012.
Art. 5.
(Reti nazionali per le cure palliative e per la terapia del dolore).
Al fine di consentire il costante adeguamento delle strutture e delle prestazioni sanitarie alle esigenze del malato in conformità agli obiettivi del Piano sanitario nazionale e comunque garantendo i livelli essenziali di assistenza di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, il Ministero della salute attiva una specifica rilevazione sui presìdi ospedalieri e territoriali e sulle prestazioni assicurati in ciascuna regione dalle strutture del Servizio sanitario nazionale nel campo delle cure palliative e della terapia del dolore, al fine di promuovere l'attivazione e l'integrazione delle due reti a livello regionale e nazionale e la loro uniformità su tutto il territorio nazionale.
Con accordo stipulato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, su proposta del Ministro della salute, sono individuate le figure professionali con specifiche competenze ed esperienza nel campo delle cure palliative e della terapia del dolore, anche per l'età pediatrica, con particolare riferimento ai medici di medicina generale e ai medici specialisti in anestesia e rianimazione, geriatria, neurologia, oncologia, radioterapia, pediatria, ai medici con esperienza almeno triennale nel campo delle cure palliative e della terapia del dolore, agli infermieri, agli psicologi e agli assistenti sociali nonché alle altre figure professionali ritenute essenziali. Con il medesimo accordo sono altresì individuate le tipologie di strutture nelle quali le due reti si articolano a livello regionale, nonché le modalità per assicurare il coordinamento delle due reti a livello nazionale e regionale.
Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro della salute, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, mediante intesa ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, sono definiti i requisiti minimi e le modalità organizzative necessari per l'accreditamento delle strutture di assistenza ai malati in fase terminale e delle unità di cure palliative e della terapia del dolore domiciliari presenti in ciascuna regione, al fine di definire la rete per le cure palliative e la rete per la terapia del dolore, con particolare riferimento ad adeguati standard strutturali qualitativi e quantitativi, ad una pianta organica adeguata alle necessità di cura della popolazione residente e ad una disponibilità adeguata di figure professionali con specifiche competenze ed esperienza nel campo delle cure palliative e della terapia del dolore, anche con riguardo al supporto alle famiglie. Per le cure palliative e la terapia del dolore in età pediatrica, l'intesa di cui al precedente periodo tiene conto dei requisiti di cui all'accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sottoscritto il 27 giugno 2007 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e del documento tecnico approvato il 20 marzo 2008.
L'intesa di cui al comma 3 prevede, tra le modalità organizzative necessarie per l'accreditamento come struttura appartenente alle due reti, quelle volte a consentire l'integrazione tra le strutture di assistenza residenziale e le unità operative di assistenza domiciliare. La medesima intesa provvede a definire un sistema tariffario di riferimento per le attività erogate dalla rete delle cure palliative e dalla rete della terapia del dolore per permettere il superamento delle difformità attualmente presenti a livello interregionale e per garantire una omogenea erogazione dei livelli essenziali di assistenza.
All'attuazione del presente articolo si provvede, ai sensi dell'articolo 12, comma 2, nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Art. 6.
(Progetto «Ospedale-Territorio senza dolore»).
Al fine di rafforzare l'attività svolta dai Comitati «Ospedale senza dolore» istituiti in attuazione del progetto «Ospedale senza dolore» di cui all'accordo tra il Ministro della sanità, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in data 24 maggio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 149 del 29 giugno 2001, che assume la denominazione di progetto «Ospedale-Territorio senza dolore», è autorizzata la spesa di 1.450.000 euro per l'anno 2010 e di 1.000.000 di euro per l'anno 2011.
Con accordo stipulato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le risorse di cui al comma 1 sono ripartite e destinate a iniziative, anche di carattere formativo e sperimentale, volte a sviluppare il coordinamento delle azioni di cura del dolore favorendone l'integrazione a livello territoriale.
Con l'accordo di cui al comma 2 sono altresì stabiliti modalità e indicatori per la verifica dello stato di attuazione a livello regionale del progetto di cui al comma 1.
Art. 7.
(Obbligo di riportare la rilevazione del dolore all'interno della cartella
clinica).
All'interno della cartella clinica, nelle sezioni medica ed infermieristica, in uso presso tutte le strutture sanitarie, devono essere riportati le caratteristiche del dolore rilevato e della sua evoluzione nel corso del ricovero, nonché la tecnica antalgica e i farmaci utilizzati, i relativi dosaggi e il risultato antalgico conseguito.
In ottemperanza alle linee guida del progetto «Ospedale senza dolore», previste dall'accordo tra il Ministro della sanità, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in data 24 maggio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 149 del 29 giugno 2001, le strutture sanitarie hanno facoltà di scegliere gli strumenti più adeguati, tra quelli validati, per la valutazione e la rilevazione del dolore da riportare all'interno della cartella clinica ai sensi del comma 1.
Art. 8.
(Formazione e aggiornamento del personale medico e sanitario in materia di
cure palliative e di terapia del dolore).
Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni, individua con uno o più decreti i criteri generali per la disciplina degli ordinamenti didattici di specifici percorsi formativi in materia di cure palliative e di terapia del dolore connesso alle malattie neoplastiche e a patologie croniche e degenerative. Con i medesimi decreti sono individuati i criteri per l'istituzione di master in cure palliative e nella terapia del dolore.
In sede di attuazione dei programmi obbligatori di formazione continua in medicina di cui all'articolo 16-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502, e successive modificazioni, la Commissione nazionale per la formazione continua, costituita ai sensi dell'articolo 2, comma 357, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, prevede che l'aggiornamento periodico del personale medico, sanitario e socio-sanitario, impegnato nella terapia del dolore connesso alle malattie neoplastiche e a patologie croniche e degenerative e nell'assistenza nel settore delle cure palliative, e in particolare di medici ospedalieri, medici specialisti ambulatoriali territoriali, medici di medicina generale e di continuità assistenziale e pediatri di libera scelta, si realizzi attraverso il conseguimento di crediti formativi su percorsi assistenziali multidisciplinari e multiprofessionali.
L'accordo di cui all'articolo 5, comma 2, individua i contenuti dei percorsi formativi obbligatori ai sensi della normativa vigente ai fini dello svolgimento di attività professionale nelle strutture sanitarie pubbliche e private e nelle organizzazioni senza scopo di lucro operanti nell'ambito delle due reti per le cure palliative e per la terapia del dolore, ivi inclusi i periodi di tirocinio obbligatorio presso le strutture delle due reti.
In sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, su proposta del Ministro della salute, mediante intesa ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, sentite le principali società scientifiche e organizzazioni senza scopo di lucro operanti nel settore delle cure palliative e della terapia del dolore, sono definiti percorsi formativi omogenei su tutto il territorio nazionale per i volontari che operano nell'ambito delle due reti.
All'attuazione del presente articolo si provvede nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Art. 9.
(Monitoraggio ministeriale per le cure palliative e per la terapia del
dolore).
Presso il Ministero della salute è attivato, eventualmente anche attraverso l'istituzione di una commissione nazionale, avvalendosi delle risorse umane disponibili a legislazione vigente, il monitoraggio per le cure palliative e per la terapia del dolore connesso alle malattie neoplastiche e a patologie croniche e degenerative. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano forniscono tutte le informazioni e i dati utili all'attività del Ministero e possono accedere al complesso dei dati e delle informazioni in possesso del Ministero. Il Ministero, alla cui attività collaborano l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, la Commissione nazionale per la formazione continua, l'Agenzia italiana del farmaco e l'Istituto superiore di sanità, fornisce anche alle regioni elementi per la valutazione dell'andamento della prescrizione dei farmaci utilizzati per la terapia del dolore, del livello di attuazione delle linee guida di cui all'articolo 3, comma 2, nonché dello stato di realizzazione e di sviluppo delle due reti su tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento alle disomogeneità territoriali e all'erogazione delle cure palliative in età neonatale, pediatrica e adolescenziale. Il Ministero provvede a monitorare, in particolare:
a) i dati relativi alla prescrizione e all'utilizzazione di farmaci nella terapia del dolore, e in particolare dei farmaci analgesici oppiacei;
b) lo sviluppo delle due reti, con particolare riferimento alla verifica del rispetto degli indicatori e dei criteri nazionali previsti dalla normativa vigente;
c) lo stato di avanzamento delle due reti, anche con riferimento al livello di integrazione delle strutture che ne fanno parte;
d) le prestazioni erogate e gli esiti delle stesse, anche attraverso l'analisi qualitativa e quantitativa dell'attività delle strutture delle due reti;
e) le attività di formazione a livello nazionale e regionale;
f) le campagne di informazione a livello nazionale e regionale;
g) le attività di ricerca;
h) gli aspetti economici relativi alla realizzazione e allo sviluppo delle due reti.
Entro il 31 dicembre di ciascun anno, il Ministero della salute redige un rapporto, finalizzato a rilevare l'andamento delle prescrizioni di farmaci per la terapia del dolore connesso alle malattie neoplastiche e a patologie croniche e degenerative, con particolare riferimento ai farmaci analgesici oppiacei, a monitorare lo stato di avanzamento delle due reti su tutto il territorio nazionale e il livello di omogeneità e di adeguatezza delle stesse, formulando proposte per la risoluzione dei problemi e delle criticità eventualmente rilevati, anche al fine di garantire livelli omogenei di trattamento del dolore su tutto il territorio nazionale.
Nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il Ministero della salute può avvalersi di figure professionali del Servizio sanitario nazionale con dimostrate competenze specifiche e, anche tramite apposite convenzioni, della collaborazione di istituti di ricerca, società scientifiche e organizzazioni senza scopo di lucro operanti nei settori delle cure palliative e della terapia del dolore connesso alle malattie neoplastiche e a patologie croniche e degenerative.
Per le spese di funzionamento di tale attività, fatto salvo quanto previsto dal comma 3, è autorizzata la spesa di 150.000 euro annui a decorrere dall'anno 2010.
Art. 10.
(Semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nella
terapia del dolore).
Al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 14, comma 1, lettera e), dopo il numero 3) è aggiunto il
seguente:
«3-bis) in considerazione delle prioritarie esigenze terapeutiche nei
confronti del dolore severo, composti medicinali utilizzati in terapia del
dolore elencati nell'allegato III-bis, limitatamente alle forme
farmaceutiche diverse da quella parenterale»;
b) nel titolo II, dopo l'articolo 25 è aggiunto il seguente:
«Art. 25-bis. - (Distruzione delle sostanze e delle composizioni in
possesso dei soggetti di cui all'articolo 17 e delle farmacie). - 1. Le
sostanze e le composizioni scadute o deteriorate non utilizzabili
farmacologicamente, limitatamente a quelle soggette all'obbligo di
registrazione, in possesso dei soggetti autorizzati ai sensi dell'articolo
17, sono distrutte previa autorizzazione del Ministero della salute.
La distruzione delle sostanze e composizioni di cui al comma 1 in possesso delle farmacie è effettuata dall'azienda sanitaria locale ovvero da un'azienda autorizzata allo smaltimento dei rifiuti sanitari. Delle operazioni di distruzione di cui al presente comma è redatto apposito verbale e, nel caso in cui la distruzione avvenga per il tramite di un'azienda autorizzata allo smaltimento dei rifiuti sanitari, il farmacista trasmette all'azienda sanitaria locale il relativo verbale. Gli oneri di trasporto, distruzione e gli altri eventuali oneri connessi sono a carico delle farmacie richiedenti la distruzione.
Le Forze di polizia assicurano, nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, adeguata assistenza alle operazioni di distruzione di cui al presente articolo»;
c) all'articolo 38, il primo e il secondo periodo del comma 1 sono sostituiti dal seguente: «La vendita o cessione, a qualsiasi titolo, anche gratuito, delle sostanze e dei medicinali compresi nelle tabelle I e II, sezioni A, B e C, di cui all'articolo 14 è fatta alle persone autorizzate ai sensi del presente testo unico in base a richiesta scritta da staccarsi da apposito bollettario "buoni acquisto" conforme al modello predisposto dal Ministero della salute»;
d) all'articolo 41, comma 1-bis, le parole: «di pazienti affetti da dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa» sono sostituite dalle seguenti: «di malati che hanno accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore secondo le vigenti disposizioni»;
e) all'articolo 43, dopo il comma 4 è inserito il seguente:
«4-bis. Per la prescrizione, nell'ambito del Servizio sanitario nazionale,
di farmaci previsti dall'allegato III-bis per il trattamento di pazienti
affetti da dolore severo, in luogo del ricettario di cui al comma 1,
contenente le ricette a ricalco di cui al comma 4, può essere utilizzato il
ricettario del Servizio sanitario nazionale, disciplinato dal decreto del
Ministro dell'economia e delle finanze 17 marzo 2008, pubblicato nel
supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 86 dell'11 aprile 2008.
Il Ministro della salute, sentiti il Consiglio superiore di sanità e la
Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche
antidroga, può, con proprio decreto, aggiornare l'elenco dei farmaci di cui
all'allegato III-bis»;
f) all'articolo 43, commi 7 e 8, le parole: «di pazienti affetti da dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa» sono sostituite dalle seguenti: «di malati che hanno accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore secondo le vigenti disposizioni»;
g) all'articolo 45, comma 1, le parole: «che si accerta dell'identità dell'acquirente e prende nota degli estremi di un documento di riconoscimento da trascrivere sulla ricetta» sono sostituite dalle seguenti: «che annota sulla ricetta il nome, il cognome e gli estremi di un documento di riconoscimento dell'acquirente»;
h) all'articolo 45, comma 2, le parole: «sulle ricette previste dal comma 1» sono sostituite dalle seguenti: «sulle ricette previste dai commi 1 e 4-bis»;
i) all'articolo 45, dopo il comma 3 è inserito il seguente:
«3-bis. Il farmacista spedisce comunque le ricette che prescrivano un
quantitativo che, in relazione alla posologia indicata, superi teoricamente
il limite massimo di terapia di trenta giorni, ove l'eccedenza sia dovuta al
numero di unità posologiche contenute nelle confezioni in commercio. In caso
di ricette che prescrivano una cura di durata superiore a trenta giorni, il
farmacista consegna un numero di confezioni sufficiente a coprire trenta
giorni di terapia, in relazione alla posologia indicata, dandone
comunicazione al medico prescrittore»;
l) all'articolo 45, dopo il comma 6 è inserito il seguente:
«6-bis. All'atto della dispensazione dei medicinali inseriti nella sezione
D della tabella II, successivamente alla data del 15 giugno 2009,
limitatamente alle ricette diverse da quella di cui al decreto del Ministro
della salute 10 marzo 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del
31 marzo 2006, o da quella del Servizio sanitario nazionale, disciplinata
dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 17 marzo 2008,
pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 86 dell'11
aprile 2008, il farmacista deve annotare sulla ricetta il nome, il cognome e
gli estremi di un documento di riconoscimento dell'acquirente. Il farmacista
conserva per due anni, a partire dal giorno dell'ultima registrazione, copia
o fotocopia della ricetta ai fini della dimostrazione della liceità del
possesso dei farmaci consegnati dallo stesso farmacista al paziente o alla
persona che li ritira»;
m) all'articolo 45, dopo il comma 10 è aggiunto il seguente:
«10-bis. Su richiesta del cliente e in caso di ricette che prescrivono più
confezioni, il farmacista, previa specifica annotazione sulla ricetta, può
spedirla in via definitiva consegnando un numero di confezioni inferiore a
quello prescritto, dandone comunicazione al medico prescrittore, ovvero può
consegnare, in modo frazionato, le confezioni, purché entro il termine di
validità della ricetta e previa annotazione del numero di confezioni volta
per volta consegnato»;
n) all'articolo 60:
1) al comma 1, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi:
«Lo stesso termine è ridotto a due anni per le farmacie aperte al pubblico e
per le farmacie ospedaliere. I direttori sanitari e i titolari di gabinetto
di cui all'articolo 42, comma 1, conservano il registro di cui al presente
comma per due anni dal giorno dell'ultima registrazione»;
2) il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. I responsabili delle farmacie
aperte al pubblico e delle farmacie ospedaliere nonché delle aziende
autorizzate al commercio all'ingrosso riportano sul registro il movimento
dei medicinali di cui alla tabella II, sezioni A, B e C, secondo le modalità
indicate al comma 1 e nel termine di quarantotto ore dalla dispensazione»;
3)al comma 4, dopo le parole: «Ministero della salute» sono aggiunte le
seguenti: «e possono essere composti da un numero di pagine adeguato alla
quantità di stupefacenti normalmente detenuti e movimentati»;
o) all'articolo 62, comma 1, le parole: «sezioni A e C,» sono sostituite dalle seguenti: «sezioni A, B e C,»;
p) all'articolo 63:
1) al comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Tale registro è
conservato per dieci anni a far data dall'ultima registrazione»;
2) il comma 2 è abrogato;
q) all'articolo 64, comma 1, le parole: «previsto dagli articoli 42, 46 e 47» sono sostituite dalle seguenti: «previsto dagli articoli 46 e 47»;
r) all'articolo 68, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:
«1-bis. Qualora le irregolarità riscontrate siano relative a violazioni
della normativa regolamentare sulla tenuta dei registri di cui al comma 1,
si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500
a euro 1.500»;
s) all'articolo 73, comma 4, le parole: «e C, di cui all'articolo 14» sono sostituite dalle seguenti: «, C e D, limitatamente a quelli indicati nel numero 3-bis) della lettera e) del comma 1 dell'articolo 14»;
t) all'articolo 75, comma 1, le parole: «e C» sono sostituite dalle seguenti: «, C e D, limitatamente a quelli indicati nel numero 3-bis) della lettera e) del comma 1 dell'articolo 14».
Art. 11.
(Relazione annuale al Parlamento).
Il Ministro della salute, entro il 31 dicembre di ogni anno, presenta una relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della presente legge, riferendo anche in merito alle informazioni e ai dati raccolti con il monitoraggio di cui all'articolo 9.
Ai fini di cui al comma 1, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano trasmettono al Ministro della salute, entro il 31 ottobre di ciascun anno, tutti i dati relativi agli interventi di loro competenza disciplinati dalla presente legge.
Art. 12.
(Copertura finanziaria).
Agli oneri derivanti dall'articolo 4, comma 3, dall'articolo 6, comma 1, e dall'articolo 9, comma 4, pari a 1.650.000 euro per l'anno 2010, a 1.300.000 euro per l'anno 2011, a 300.000 euro per l'anno 2012 e a 150.000 euro a decorrere dall'anno 2013, si provvede, quanto a 650.000 euro per l'anno 2010, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 48, comma 9, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, come rideterminata dalla Tabella C allegata alla legge 23 dicembre 2009, n. 191, e, quanto a 1.000.000 di euro per l'anno 2010, a 1.300.000 euro per l'anno 2011 e a 300.000 euro per l'anno 2012, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2010-2012, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2010, allo scopo parzialmente utilizzando gli accantonamenti di cui alla tabella 1 annessa alla presente legge.
Per la realizzazione delle finalità di cui alla presente legge, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, in attuazione dell'articolo 1, comma 34, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, vincola, per un importo non inferiore a 100 milioni di euro annui, una quota del Fondo sanitario nazionale su proposta del Ministro della salute, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Tabella 1
(Articolo 12, comma 1)
(migliaia di euro)
FONTE: