PRESENTAZIONE
Il Comitato Nazionale per la Bioetica ha ritenuto importante soffermarsi sul problema della definizione e sulle metodologie della morte, interpretando anche in questa luce il mandato ricevuto con il Decreto istitutivo del 28 marzo 1990.
Infatti, il turbamento da tempo provocato nell'opinione pubblica dall'impiego di nuove tecnologie strumentali e criteri diversi dai tradizionali per l'accertamento di tale evento, richiede al Comitato di proferire una parola chiara, al fine di fugare ogni dubbio che dal progresso delle scienze e delle tecnologie venga posto in discussione il principio assoluto della tutela della vita.
Nelle sedute del III e IV Gruppo di lavoro in cui si è articolato il Comitato - sono state prese in attenta considerazione tre relazioni, e cioè:
• C. MANNI - "Note preliminari sull'accertamento e definizione della morte, dal punto di vista delle tecniche rianimatorie".
• M. BARNI - "Definizione di morte e criteri di accertamento, sotto il profilo medico-legale".
• P. RESCIGNO - "Tutela del soggetto nella fase terminale della vita".
I primi due documenti sono confluiti in una "Relazione" unitaria, che è stata esaminata nella Seduta plenaria del 25 e 28 gennaio 1991, con gli interventi dei proff. Barberio Corsetti, Cattorini, D'Agostino, Lecaldano, Nordio, Romano, Rossi-Sciumè, Sgreccia, Stammati (che ha presentato una memoria) e Veronesi, ed una consistente integrazione da parte dei professori Barberio Corsetti, Nordio e Rescigno (*).
La relazione è stata approvata in pari data.
Il documento finale - idoneo a raccogliere le considerazioni conclusive e le proposte del Comitato espresse in un linguaggio più facilmente comprensibile all'opinione pubblica - è stato approvato il 15 febbraio 1991.
Il Comitato al termine della Seduta, dà mandato al Presidente di trasmettere i due documenti alla Presidenza del
Consiglio.
Il Comitato formula, altresì, i più vivi ringraziamenti ai proff. Falzea, Giron e Zatti, che hanno discusso le relazioni nella Seduta del Gruppo di lavoro del 25 gennaio.
Il Presidente
A. Bonpiani
Roma, 25 febbraio 1991
(*) Il documento RESCIGNO formerà oggetto di ulteriore elaborazione.
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CONCLUSIONI GENERALI E PARERI DEL COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA
Il Comitato Nazionale per la Bioetica
premesso che è di comune constatazione che l'uomo, nel corso della storia,
si è confrontato con il problema dell'accertamento della morte riconoscendola in
fenomeni ai quali ha attribuito il carattere di certezza;
premesso altresì che i progressi della scienza medica, e in particolare
della rianimazione, non hanno modificato l'evento della morte, che è sempre di
non ritorno, ma hanno contribuito a migliorare la capacità di riconoscerne con
certezza il momento;
ritenuto che il problema dell'individuazione del momento della morte assume grande rilievo in relazione alla tutela dei morenti, all'eliminazione di fenomeni di turbamento sociale e alle indicazioni operative per gli operatori e le strutture sanitarie, anche con riferimento all'ipotesi di trapianto di organi;
premesse tutte le considerazioni scientifiche illustrate nel rapporto allegato
avanza le seguenti conclusioni:
Il concetto di morte è definito dalla perdita totale e irreversibile della capacità dell'organismo di mantenere autonomamente la propria unità funzionale.
La morte può essere accertata attraverso criteri anatomici, clinici, biologici, cardiaci e neurologici.
Per quanto riguarda i criteri anatomici, clinici, biologici e cardiaci il Comitato rinvia ai criteri comunemente accettati o codificati, e ritiene valido quanto è contenuto nel Regolamento di Polizia Mortuaria, di recente modificato (D.M. in data 10 settembre 1990).
Per quanto riguarda i criteri neurologici, il Comitato ritiene accettabile solo quello che fa riferimento alla cosiddetta "morte cerebrale", intesa come danno cerebrale organico, irreparabile, sviluppatosi acutamente, che ha provocato uno stato di coma irreversibile, dove il supporto artificiale è avvenuto in tempo a prevenire o trattare l'arresto cardiaco anossico.
Non può essere accettato il criterio che fa riferimento alla "morte corticale", nel verificarsi della quale rimangono integri i centri del paleoencefalo e permane la capacità di regolazione centrale delle funzioni omeostatiche e vegetative, compresa la respirazione autonoma.
Non può altresì essere accettato il criterio che fa riferimento alla morte del tronco encefalico perché essa non indica di per sé che le strutture al di sopra del tronco abbiano perso la possibilità di funzionare se stimolate in altro modo.
Alla attenta applicazione dei criteri clinici che, in presenza di una lesione cerebrale organica dimostrata con i mezzi della diagnostica strumentale, inducono il sospetto di morte cerebrale, deve accompagnarsi la ricerca, da parte del rianimatore, di tutti i fattori che possano fornire la certezza dell'avvenuta morte cerebrale.
Il tempo di osservazione attualmente prescritto (12 ore) può essere ridotto con l'impiego di alcuni esami strumentali che consentono di confermare la diagnosi di morte cerebrale ottenuta attraverso il rilievo di un EEG piatto e di smentirla facilmente in caso di intossicazioni esogene (potenziali evocati somato sensoriali), ovvero che dimostrano l'assenza di circolazione cerebrale (angiografia cerebrale, flussimetria Doppler a onda continua, flussimetria Doppler intravranica, scintigrafia cerebrale, tomografia computerizzata ad emissione di singoli fotoni-SPECT).
L'accertamento della morte in età pediatrica presenta problemi particolari per superare i quali si ritengono accettabili i criteri compilati dalla "Task Force for the determination of Brain death in children", che prevedono un periodo di osservazione più lungo.
L'accertamento della morte del neonato a termine comporta l'applicazione congiunta di tutti i criteri indicati dalla Task Force; per il neonato pretermine, specie se di età gestazionale inferiore alle 32 settimane, oltre ai criteri indicati dalla Task Force, debbono raccomandarsi un tempo di osservazione sufficiente lungo e la più ampia prudenza nella valutazione dei parametri strumentali attualmente disponibili.
Sulla base di tali conclusioni, il Comitato Nazionale per la Bioetica formula l'auspicio:
che il legislatore sviluppi in termini normativi i criteri presentati dall'avanzamento della medicina, attraverso parametri strumentali, per l'accertamento della morte a tutti i fini giuridici;
che siano introdotti criteri normativi differenziati per l'accertamento della morte nell'età pediatrica e neonatale;
che siano promossi l'istituzione e le garanzie di funzionamento delle commissioni di verifica della realtà della morte.
DEFINIZIONE E ACCERTAMENTO DELLA MORTE NELL'UOMO
1 - PREMESSA
Nel presente documento si tratta della definizione ed accertamento della morte.
E' di comune constatazione che l'uomo, nel corso della storia, si è confrontato con il problema dell'accertamento della morte riconoscendola in fenomeni di certezza che sono stati diversamente interpretati.
I motivi che inducono ad intervenire su questo tema, nell'ambito del Comitato Nazionale per la Bioetica, sono molteplici:
innanzitutto le modificazioni provocate dalle moderne tecnologie biomediche fra cui la più sconvolgente è la definizione di un'entità nosografica del tutto sconosciuta all'era precedente la rianimazione e cioè l'identificazione della morte dell'individuo con la cessazione definitiva, irreversibile, della completa funzione di un singolo organo, il cervello (cosiddetta "morte cerebrale");
in secondo luogo il problema della gestione del complesso delle cure da parte del personale medico e delle Istituzioni socio-sanitarie impegnato a trattare il prolungamento della sopravvivenza di pazienti in condizioni estremamente critiche. Problemi etici di grande rilevanza infatti si pongono nel merito dei comportamenti dello staff sanitario delle Unità di terapia intensiva, riferiti all'appropriatezza dell'utilizzazione delle tecniche disponibili e alla relazione che esso instaura con i parenti dei pazienti.
Tale problema del comportamento dello staff sanitario ha aspetti peculiari in neonatologia in quanto - fra l'altro - il personale si deve confrontare con i genitori, ai fini di una tutela del bambino ("child advocacy");
in terzo luogo il problema del trapianto di organi rispetto al quale si sta diffondendo una "cultura" non sempre congrua alla natura del problema.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica esaminerà questi problemi in documenti che saranno predisposti specificatamente; ma alla loro trattazione ritiene necessario premettere una analisi di criteri atti a stabilire con certezza il momento della morte.
Nel dibattito pubblico, infatti, i criteri scientifici sono spesso sconosciuti o male interpretati e questo ha contribuito a generare grande sconcerto sull'esatta definizione della morte e del momento in cui essa si verifica. Inoltre, la popolarità e la diffusione degli aspetti scientifici e di costume relativi ai trapianti d'organo, cui i mass-media hanno dedicato molto interesse, comportano un rapporto quasi quotidiano con queste problematiche. Purtroppo, nella divulgazione del dibattito scientifico, la frequente mancanza di chiarezza ha contribuito a suscitare o perpetuare paure e pregiudizi nei confronti di una corretta diagnosi di morte.
Per questi motivi è sembrato opportuno al Comitato Etico Nazionale offrire una base di approfondimento rigorosamente scientifica, movendo sempre dall'esigenza esclusiva del rispetto e della tutela della vita umana.
Il Comitato, nell'affrontare il problema di una definizione di morte dell'individuo e nel precisare parametri di accertamento, vuole riferirsi all'esame clinico e sperimentale dei fatti e prende in considerazione l'uomo nella sua individualità organica e funzionale, prescindendo dall'analisi teorico-sistematica delle diverse sensibilità e concezioni culturali e da concetti che sono controversi in campo filosofico e nel linguaggio.
2 - DEFINIZIONE DI MORTE
2.1 I concetti di "morire", di "morte cardiaca", di "morte cerebrale".
La morte non estingue in modo istantaneo e globale l'attività di tutte le cellule. Infatti, il "morire", sul piano biologico, deve riconoscersi come un processo evolutivo che colpisce gradualmente le cellule dei diversi tessuti e le relative strutture subcellulari sulla base della loro differente resistenza alla carenza di ossigeno, sino alla estinsione di ogni attività vitale, con il permanere dei soli fenomeni enzimatici colliquativi-putrefattivi. Ma non è certo opportuno attendere l'instaurarsi della "morte biologica" per dichiarare morto un essere vivente.
E' possibile, invece, definire il momento della cessazione della vita dell'essere come organismo integrato, attraverso criteri scientificamente dimostrati, riferendoci all'organismo umano espresso nella sua integrità morfologica e funzionale.
Se la determinazione della morte è di facile riscontro oggettivo nei casi di "devastazione", cioè nei casi di disintegrazione fisica della persona (condizione che si realizza ad esempio nei disastri aerei, nelle catastrofi naturali e belliche) è assai meno ovvia e assoluta nei casi quotidiani di diagnosi di morte.
Comunemente il momento della morte viene fatto coincidere con l'arresto del battito cardiaco (la cosiddetta "morte cardiaca"). L'assenza del battito cardiaco e dei polsi periferici, la presenza di un elettrocardiogramma piatto per non meno di 20 minuti sono i segni che, anche a termine di legge (art. 8 del Regolamento di Polizia Mortuaria, 10 settembre 1990) consentono la diagnosi di morte. Tale condizione determina la cessazione, in termini perentoriamente irreversibili, della possibilità di recupero della funzione cerebrale e di tutti gli altri organi e apparati.
Le tecniche di rianimazione hanno consentito di vicariare le principali funzioni biologiche (cuore, circolo, respiro) con mezzi strumentali, permettendo di creare un'apparenza di vita del tutto artificiale, anche nei pazienti con lesioni neurologiche globali e irreversibili. E' pertanto possibile mantenere in condizioni straordinarie un cuore battente, reni e fegato funzionanti, e così via, in un paziente con strutture totalmente e irrimediabilmente lese.
Approvare e servirsi della definizione di "morte cerebrale" non significa però ridefinire il concetto di morte: soltanto indicare una nuova modalità di identificare la morte così da essere preparati ad utilizzare due formulazioni alternative: quella tradizionale di morte cardiaca e quella innovativa della morte cerebrale.
Ambedue identificano comunque l'essenza del concetto di morte nella perdita totale ed irreversibile della capacità dell'organismo di mantenere autonomamente la propria unità funzionale.
Invero, questa difficoltà ad accettare la morte cerebrale quale nuovo criterio di morte è presente in tutti i paesi, anche in quelli economicamente e culturalmente più avanzati.
2.2 Caratteristiche del concetto di "morte cerebrale".
Sembra opportuno, pertanto, fornire qualche ulteriore informazione al riguardo.
Negli USA, già dal 1981, la "President's Commission for the Study of Ethical Problems in Medicine and Biochemical and Behavioral Research" ha stabilito che la perdita irreversibile di tutte le funzioni cerebrali, in accordo con standard medici accettati, sia criterio sufficiente per l'accertamento della morte.
Ciò nonostante un sondaggio Gallup del 1985 ha rivelato che, pur se il 75% degli americani ha sentito parlare di morte cerebrale, solo il 55% di essi è d'accordo ad usare questa definizione come criterio di accertamento di morte della persona.
Nelle altre nazioni non vi è un modello di comportamento univoco alla morte cerebrale. In alcune esistono disposizioni di legge che codificano la morte cerebrale, ne stabiliscono i criteri e la equivalgono alla morte dell'intero organismo; in altre, viene accettata senza alcuna disposizione di legge e la diagnosi è affidata all'esclusivo giudizio del medico, per altre ancora non viene accettata come causa di morte (ad esempio nei paesi islamici).
E' chiaro che non sarà facile modificare una tradizione culturale che affonda le sue radici nell'origine dell'uomo.
La morte cerebrale, descritta per la prima volta nel 1959 da Mollaret e Goulon, definisce l'autolisi, la necrosi asettica degli emisferi cerebrali e del tronco, cioè la distruzione completa ed irreversibile di tutto il contenuto della cavità cranica fino al primo segmento cervicale.
Solo una percentuale inferiore al 1% delle morti assume le caratteristiche della morte cerebrale: si tratta invariabilmente di quei casi in cui un danno cerebrale organico, irreparabile, sviluppatosi acutamente ha provocato uno stato di coma irreversibile dove il supporto artificiale è avvenuto in tempi utili a prevenire o trattare l'arresto cardiaco anossico.
La non conoscenza dell'esatta definizione di morte cerebrale, nei termini di estensione ed irreversibilità della lesione, la mancanza univocità nei criteri scientifici ed alcune imprecisioni nella diagnosi differenziale con altri quadri clinici hanno insinuato sospetti soprattutto sulla identificazione ed equiparazione della morte cerebrale con la morte dell'uomo.
La grave confusione al riguardo è stata ulteriormente stimolata dall'utilizzazione indifferente di termini assai diversi: "coma irreversibile" e "sindrome apallica" definiscono, ad esempio, uno stato di coscienza più simile al sonno non risvegliabile che alla necrosi del parenchima cerebrale; la definizione stessa di "morte cerebrale" può apparire ambigua perché definisce contemporaneamente la morte di un organo in un corpo altrimenti vivo - ove sottoposto a tecniche di sostentamento artificiale - a la morte della persona in virtù della morte di un singolo organo.
Un altro elemento di confusione è certamente l'identificazione proposta dagli Autori inglesi della morte cerebrale con la morte del tronco encefalo dal momento che la cessazione irreversibile della funzione di questa struttura rende il resto del cervello per sempre non funzionante ed invariabilmente determina la morte somatica. Questa posizione comporta due equivoci di fondo:
il primo deriva dal fatto che l'assenza della funzione del resto dell'encefalo non è intrinseca ma semplicemente occasionata dalla mancanza di imput dal tronco (il che non significa che le strutture al di sopra del tronco abbiano per definizione perso la possibilità di funzionare se stimolate in altro modo);
il secondo deriva dal fatto che non è giusto equiparare l'inevitabilità della morte con la morte stessa: la morte del tronco ha quindi requisiti prognostici ma non diagnosi di morte.
Recentemente è stato anche proposto di definire morta la persona nella quale si sia verificata la necrosi della sola area corticale del sistema nervoso centrale, pur rimanendo integre e funzionanti le strutture troncoencefaliche (morte corticale).
In questa condizione, clinicamente definita "stato vegetativo persistente", la dichiarazione di morte viene giustificata dalla presunta impossibilità a recuperare una sufficiente vita di relazione.
Non si può condividere questa opinione perché, rimanendo integri i centri del paleoencefalo, permangono attive le capacità di regolazione (centrale) omeostatiche dell'organismo e la capacità di espletare in modo integrate le vitali funzioni, compresa la respirazione autonoma.
Va rilevato, inoltre, che "stato vegetativo persistente" non vuol dire di per sé irreversibile e si segnalano casi che hanno recuperato, anche se parzialmente ed in tempi lunghi, una vita di relazione.
Infine vi è una oggettiva difficoltà clinica ad accertare, senza alcuna possibilità di errore, una necrosi completa ed irreversibile della sola corteccia cerebrale.
Questa mancanza di uniformità e di chiarezza ha certamente contribuito a scatenare polemiche sull'attendibilità dei sistemi diagnostici e sullo stesso concetto di identificazione della morte cerebrale con la morte dell'intero organismo.
Ed è proprio per questo motivo che appare opportuna una definizione unica, e non aggettivata, della morte.
Il parlare di morte clinica, morte biologica, morte cardiaca, morte cerebrale, morte tronco-encefalica, morte corticale potrebbe generare notevole confusione e disorientamento: è come se esistessero molte morti e modi diversi di morire.
Al contrario, va affermato che il momento della morte è uno solo ed è segnato, come già detto, dalla perdita totale ed irreversibile dell'unitarietà funzionale dell'organismo.
2.3 Conclusioni in merito alla definizione di morte
In pratica, può dirsi che la morte avviene quando l'organismo cessa di "essere un tutto", mentre il processo del morire termina quando "tutto l'organismo" è giunto alla completa necrosi.
Questo momento iniziale, che segna il passaggio dalla vita alla non-vita, non è variabile nel tempo: ciò che varia sono i criteri scientifici che consentono di individuare e segnalare il momento in cui la vita cessa e, cioè, la realtà e l'irreversibilità della morte stessa. La definizione di morte si esprime scientificamente solo in termini di realtà e irrevocabilità.
I progressi della scienza medica, ed in particolare della rianimazione e della trapiantologia, non hanno modificato l'evento della morte, che è sempre di non ritorno: le moderne tecnologie hanno contribuito a migliorare la capacità di riconoscere il momento con certezza.
In pratica, oggi sappiamo che esiste un centro coordinatore e unificante nell'organismo umano: il cervello: la sua totale necrosi segna il passaggio "dall'essere uomo vivente" alla morte; anche se alcuni organi, sostenuti artificialmente, possono conservare la propria funzione.
Suggeriamo, pertanto, di non utilizzare i termini suddetti, anche se ormai di uso comune, sostituendoli con: criteri clinici, criteri biologici, criteri cardiaci e criteri neurologici per l'accertamento della morte.
E' chiaro del resto che quando noi diciamo "morte cardiaca" non ci riferiamo alla morte del cuore, bensì ai criteri cardiocircolatori finalizzati alla diagnosi di morte dell'intero organismo.
Così come, quando parliamo di "morte cerebrale" - come anche in questo documento si fa per una prassi invalsa del linguaggio comune - non intendiamo riferirci alla morte di un solo organo, il cervello, bensì ai criteri neurologici per accertare la morte della persona nella sua totalità.
E' bene inoltre precisare che questi criteri potranno subire modifiche in accordo ai progressi delle tecnologie biomediche: modifiche che tutti noi dobbiamo essere pronti a recepire, trattandosi di mezzi strumentali che se mai anticipano, ma non infirmano, la morte diagnostica.
Distinguendo con estrema chiarezza la definizione della morte dai criteri di accertamento, saremo in grado di evitare futuri, sempre prevedibili equivoci.
3 - ACCERTAMENTO DELLA MORTE
Considerando che i criteri anatomici (morte per devastazione) e i criteri cardiocircolatori (morte cardiaca) sono ormai comunemente accettati e ben codificati anche dal punto di vista legislativo, il Comitato si è soffermato a trattare esclusivamente i controversi aspetti dei criteri neurologici (morte cerebrale).
E' bene premettere che, dal punto di vista anatomofunzionale, il denominatore comune dei diversi fattori eziologici determinanti la morte cerebrale è l'arresto del flusso ematico cerebrale. Ciò si verifica allorquando la pressione di perfusione cerebrale espressa come differenza tra la pressione arteriosa sistematica media e la pressione intracranica media si azzera. Ciò può avvenire per eccessive diminuzioni della pressione arteriosa o per aumenti notevoli della pressione intracranica, condizione alla base delle patologie che più frequentemente determinano la morte cerebrale: il trauma cranico, l'ictus cerebrale emorragico, e i processi espansivi di natura neoplastica.
3.1 Criteri clinici e strumenti classici di accertamento di morte
Dal punto di vista clinico il sospetto di una morte cerebrale può essere avanzato quando, in presenza di una lesione cerebrale organica dimostrata con i mezzi della diagnostica strumentale, si rileva:
uno stato di coma non rispondente agli stimoli esogeni;
ariflessia tendinea dei muscoli scheletrici innervati dai nervi cranici e quindi assenza dei riflessi troncoencefalici (fotomotore, corneale, oculocefalici e oculovestibolari, faringeo e tracheale);
atonia muscolare;
assenza di attività elettrica attraverso la registrazione EEG;
assenza di respirazione spontanea.
L'apnea acquisisce valore diagnostico solo se testata dopo aver escluso condizioni che possono fatalmente determinarla come l'ipocapnia spinta o la curarizzazione. Un test all'apnea correttamente eseguito deve essere così compiuto:
preossigenazione con ossigeno puro per 10 minuti e riduzione della frequenza respiratoria fino ad ottenere una paCO2 di almeno 40 mmHg;
deconnessione del paziente dal respiratore automatico per almeno cinque minuti durante i quali da 8 a 10 litri al minuto di ossigeno sono somministrati attraverso il tubo endotracheale;
controllo della paCO2 che deve aver superato i 60 mmHg.
La rilevazione elettroencefalografica come condizione necessaria per la diagnosi della morte cerebrale non è universalmente accettata. I motivi concettuali di questa posizione si possono ricondurre alla tesi, sostenuta dagli Inglesi, secondo cui la morte del troncoencefalo valutata con mezzi clinici equivale alla morte cerebrale e non richiede l'accertamento con mezzi strumentali come l'EEG.
La legge italiana prevede attualmente l'assenza di attività elettrica spontanea o provocata rilevata con registrazioni di trenta minuti ottenuti per quattro volte nelle dodici ore di osservazione previste.
Riteniamo doverosa la registrazione strumentale di un elettroencefalogramma che documenti l'assenza di un attività corticale e che confermi l'avvenuta necrosi di tutto il cervello (corteccia e troncoencefalo).
Riteniamo invece, per motivi che analizzeremo in seguito, che sia possibile ridurre il tempo di osservazione.
Spesso anche l'insorgenza di segni e sintomi sistemici possono comportare il sospetto di morte cerebrale:
la poliura: compare come conseguenza della cessata dismissione in circolo dell'ormone antidiuretico (ADH) dovuto all'ischemia dell'asse diencefalo ipofisario. Essa comporta un'imponente disidratazione con ipernatriemia, iperosmolarità ed ipocaliemia che determinano gravi alterazioni della funzione delle membrane cellulari soprattutto a livello cardiaco;
l'instabilità cardiocircolatoria: consiste in ipotensione, bradicardia, aritmie, conseguenza inevitabile dell'ischemia dei centri vasomotori del tronco, dello squilibrio idroelettrico e della scomparsa dell'azione vasocostrittrice di alcuni ormoni (ormone antidiuretico, ormoni tiroidei ecc...);
l'ipotermia: successiva alla perdita della capacità di autoregolazione della temperatura corporea da parte dell'ipotalamo e della notevole dispersione termica da poliura.
In presenza del sospetto di morte cerebrale è compito del rianimatore ricercare, con estrema attenzione, se sussistano fattori che escludano la certezza di morte cerebrale quale la presenza di sostanze deprimenti il sistema nervoso centrale, l'ipotermia artificialmente indotta, le patologie endrocrine, gli squilibri metabolici.
Questi fattori possono determinare uno stato di coma e la comparsa di sintomi e segni simili a quelli che si osservano in soggetti in morte cerebrale ma sempre accertabili con un'adeguata diagnosi differenziale e soprattutto reversibili con un'adeguata terapia.
L'alterazione dello stato di incoscienza fino al coma è un sintomo frequente anche nei gravi disordini metabolici quali: l'ipossia, l'ipercapnia, l'ipoglicemia, l'insufficienza epatica, l'insufficienza renale e gli squilibri idroelettrolitici.
Dal punto di vista legale l'accertamento di morte cerebrale prevede la persistenza dei criteri clinici e strumentali suddetti per un lasso di tempo che attualmente risulta essere di 12 ore. Nella formulazione delle nuove proposte di legge si tende a ridurre i tempi di osservazione in accordo con il concetto che una sintomatologia di coma ariflessico ed apneico con assenza di attività elettrica cerebrale non può regredire a meno che non sia stata causata da squilibri endocrino-metabolici o da intossicazione farmacologica comunque diagnosticabili in questi termini di tempo. L'osservazione di tutti questi criteri clinici è assolutamente obbligatoria; nessuno spazio deve essere lasciato alla possibilità di falsi negativi ed ovviamente il medico deve essere assolutamente certo che nessun paziente vivo possa essere erroneamente giudicato morto.
3.2 Le tecnologie psicomediche nella diagnosi precoce di morte
Alcuni esami strumentali sono in grado di confermare la diagnosi di morte cerebrale in tempi anche più brevi di quanto previsto dalla legge.
I potenziali evocati somato-sensoriali acquisiscono una importanza sempre maggiore fornendo utili indicazioni riguardanti l'aspetto anatomofunzionale delle strutture sia del troncoencefalo che corticali. Essi consentono soprattutto di confermare la diagnosi di morte cerebrale ottenuta attraverso il rilievo di un EEG piatto e di smentirla facilmente nel caso di intossicazioni esogene.
Ma il reperto inequivocabile per la diagnosi di morte cerebrale è la dimostrazione dell'assenza di circolazione cerebrale: dell'impossibilità, quindi, che il sangue possa raggiungere il parenchima cerebrale. Ciò si può ottenere con varie tecniche strumentali:
l'angiografia cerebrale che, attraverso puntura dell'arteria carotide ed iniezione di mezzo contrasto, documenta l'arresto del flusso a livello della base cranica;
la flussimetria Doppler ad onda continua che dimostra la scomparsa del flusso diastolico e la comparsa di un'onda reverse, quadro correlato con l'aumento della pressione intracranica e l'ostacolo alla perfusione cerebrale;
la flussimetria Doppler intracranica che, a differenza del Dopler ad onda continua, emette un'onda pulsata di ultrasuoni a bassa frequenza (2MegaHz) attraverso un cristallo unico che ha contemporaneamente la funzione di ricevente e consente l'insonazione di interfacce vascolari situate in volumi di prelievo di piccole dimensioni, soprattutto a profondità note e programmabili. Il fascio di ultrasuoni è così in grado di superare la teca ossea a livello di determinate finestre ossee e di fornire precise informazioni sulla direzione del flusso, sulla sua velocità e indirettamente sulle resistenze vascolari;
la scintigrafia cerebrale che si esegue attraverso l'introduzione nell'organismo per via perfusionale o per inalazione di traccianti radioattivi (Tecnezio 99m) e permette l'identificazione della presenza e delle caratteristiche del flusso cerebrale;
la SPECT (tomografia computerizzata ad emissione di singoli fotoni) esame altamente sofisticato, di grande sensibilità che garantisce con assoluta certezza (visualizzando il solo circolo intracranico) ed esclusione di falsi positivi l'assenza di circolo cerebrale.
Nei casi in cui la PIC è monitorizzata con un cratere intraventricolare è possibile valutare la morfologia dell'onda pulsatile liquorale, espressione delle modificazioni di pressioni conseguente all'entrata nel sistema intracranico del volume ematico corrispondente ad ogni sistole cardiaca. L'assenza di tale onda, qualora sia appurato il normale funzionamento del sistema di rilevazione, è altamente suggestivo per l'assenza di circolo cerebrale.
E' bene precisare che queste tecniche non si propongono l'obiettivo di rendere più sicura la diagnosi di morte cerebrale, bensì quello di ridurre il tempo di osservazione che potrebbe essere limitato a due ore.
La diagnosi di morte cerebrale, infatti, ha carattere di certezza anche se si utilizzano solo i parametri clinici e la documentazione elettroencefalografica, ma in questo caso il tempo di osservazione deve protrarsi per sei ore.
3.3 Problemi particolari di accertamento di morte cerebrale anche in età pediatrica
Problemi particolari possono porsi nella diagnosi di morte cerebrale quando il paziente è in età pediatrica; tali problemi non riguardano tanto motivi di ordine deontologico o medico-legale quanto aspetti di difficoltà nella diagnosi clinica e strumentale. La nostra legislazione non prevede, come in realtà da tempo stabilito in altre nazioni, dei criteri diversi o valutazioni supplementari rispetto all'adulto. Ciò avviene nonostante che il substrato anatomo-funzionale sia completamente diverso soprattutto in relazione all'immaturità dello sviluppo e alla maggiore resistenza del parenchima cerebrale all'insulto ischemicoanossico.
I criteri attualmente più seguiti per la diagnosi clinica di morte cerebrale nel bambino sono quelli compilati dalla "Task Force for the determination of Brain death in children". Essi prevedono:
stato di coma;
assenza della funzione troncoencefalica con pupille in posizione intermedia o midriatiche non reagenti allo stimolo luminoso, assenza di movimenti spontanei o riflessi degli occhi, assenza di movimenti spontanei o riflessi dei muscoli innervati dai nervi cranici;
apnea;
esclusione di ipotermia artificialmente indotta ed ipotensione;
atonia muscolare e assenza dei movimenti spontanei o riflessi.
Il periodo di osservazione e gli esami strumentali da eseguire sono diversi a secondo dell'età considerata:
da 7 giorni a 2 mesi la Task Force suggerisce due valutazioni cliniche ed elettroencefalografiche a distanza di 48 ore;
da 2 mesi ad 1 anno due valutazioni cliniche e strumentali separate da un intervallo di 24 ore;
sopra l'anno di vita (fino a 5 anni) la valutazione clinica deve essere ripetuta dopo 12 ore mentre l'EEG deve essere ripetuto solo se la causa di morte è extracerebrale.
3.4 Criteri di accertamento della morte nel neonato
Per l'utilizzo dei criteri della Special Task Force americana in età neonatale per i bambini nati prima del termine in particolare, vanno rilevate alcune osservazioni.
Quando le condizioni del neonato sono la conseguenza di un insulto perinatale è suggerita l'osservazione fino al settimo giorno dal parto per accertare la irreversibilità del danno cerebrale.
Vanno tenute presenti le difficoltà applicative e l'affidabilità dei criteri, in particolare in età neonatale. Le difficoltà applicative riguardano soprattutto sia i criteri clinici sia quelli strumentali.
I riflessi del tronco sono incompleti nei neonati con età gestazionale inferiore a 30-32 settimane, età in cui con le tecniche appropriate il bambino è mantenuto in vita ed ha elevate probabilità di sopravvivere sano. Ci sono casi di neonati, non solo pretermine, in coma, con assenza di riflessi del tronco, che sopravvissero. Non tutti i test sperimentali e proposti sono disponibili nell'unità di terapia intensiva. Né sono usabili secondo le tecniche necessarie per garantire la significatività dei risultati. Più disponibili ed usabili sono il test dell'apnea provocata (è positivo quando la paCO2 supera il valore di 60 in seguito a deconnessione del ventilatore per 10') e l'Eeg (silenzio elettrico per almeno 48 ore). Ma il test dell'apnea è utilizzabile solo per neonati di età gestazionale superiore a 33 settimane e l'EEG non è affidabile se il numero degli elettrodi è necessariamente limitato dalle piccole dimensioni del cranio del bambino pretermine e di peso molto basso. Raccomandato è il test dell'angiografia con radionuclidi per la misurazione del flusso cerebrale. Ma ne è problematica la disponibilità e l'usabilità in molte unità di terapia intensiva.
Ci sono casi che mettono in forse l'interpretazione dei risultati e quindi la validità dei test. Infatti bambini con test dell'apnea positivo (quelli già menzionati, in coma e con assenza di riflessi del tronco) e con EEG isoelettrico per almeno 24 ore sono sopravvissuti; per contro, l'attività EEG non era soppressa in bambini molto critici che decedettero. Inoltre altri test sperimentati nell'adulto e nel bambino (potenziali evocati uditivi, visivi e somestesici, Xenon CT, angiografia digitale, flussimetria Doppler) hanno scarsa applicabilità nelle unità di terapia intensiva e/o danno risultati che si reputano ancora di incerta applicazione.
In sintesi, sulla base di un'approfondita analisi della letteratura sembra sostenibile che non si può fare affidamento su uno soltanto dei criteri indicati dalla Special Task Force. Per il neonato a termine dovrebbero essere presenti tutti questi criteri, peraltro di difficile applicazione; per il neonato pretermine, specie se in età gestazionale inferiore a 32 settimane, esiste il problema della loro affidabilità.
4 - CONCLUSIONI
I criteri neurologici per l'accertamento della morte, ormai ampiamente analizzati e verificati dal punto di vista tecnico-scientifico, impongono di affrontare i rilevanti aspetti giuridici del problema al fine di:
esprimere una metodologia che valga per ogni condizione di coma in costanza di rianimazione, indipendentemente da ogni finalismo ulteriore;
sanzionare giuridicamente tale metodologia;
controllarne l'esperimento costante e fedele con l'esercizio di ogni garanzia medico-legale;
recuperare la statuizione giuridica del momento della morte ben oltre ogni impossibile certezza biologica, attraverso la statuizione giuridica che esso coincide con l'inizio dell'esperimento probatorio ed è pertanto solo ex post definibile;
introdurre normativamente criteri diversi e/o valutazioni nella età pediatrica e neonatale.
Va raccomandata, peraltro, la più ampia prudenza nella valutazione dei parametri strumentali attualmente disponibili di morte del neonato; il legislatore dovrà sviluppare in termini normativi i criteri presentati dalla medicina per l'accertamento di morte, a tutti i fini giuridici, ivi compresa l'istituzione e la garanzia di funzionamento delle commissioni di verifica della realtà della morte in precedenza indicate.
La soluzione dei problemi giuridici faciliterà, certamente, il rispetto di alcune norme fondamentali di deontologia medica. Basti pensare che al momento attuale si è ancora costretti a proseguire l'assistenza artificiale del circolo e del respiro in soggetti già morti (morte accertata con criteri neurologici) quando non è possibile o consentita la donazione degli organi.
Appare evidente, invece, che l'accertamento della morte, come abbiamo già detto, è un dovere del medico indipendentemente da qualsiasi altro finalismo (trapianti) e impone, comunque, la sospensione delle terapie.
Ovviamente, se sussistono le condizioni, è doverosa la segnalazione del possibile donatore e l'inizio delle procedure atte al sostegno della funzione degli organi da trapiantare.
Si impone, comunque, la conferma legislativa di ben precise responsabilità nella pratica dell'accertamento della morte, che garantiscano la completa rilevazione e l'esatta interpretazione dei dati clinici e strumentali, e, nello stesso tempo, il rispetto dei tempi, dei modi e delle procedure stabilite dalla legge e dalla norma deontologica; che valgano in ogni caso, nel quadro non superabile del c.d. uso legittimo del cadavere. Se per "morte cardiaca" non può che sostenersi la generalizzazione dell'esperimento elettrocardiografico per non meno di 20' ad opera del medico necroscopo, l'accertamento della "morte cerebrale" implica l'osservazione attiva per almeno 6 ore da parte di una équipe composta dal neurologo, dal rianimatore e dal medico legale, del tutto estranea all'ambito clinico in cui la morte si sia verificata e allo staff operativo cui siano affidate eventuali operazioni di trapianto d'organi. Quest'ultimo finalismo deve essere in effetti inteso alla stregua di aspetto particolare del più generale impegno medico, fortemente connotato di valenze etiche, per una diagnosi certa e perentoriamente affidante della fine irreversibile della vita.
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